Albergo Splendor

Commedia in due tempi di

RENATO FIDONE

Anno 2013

Personaggi

ANTONIO QUARTARA, portiere

MARA, moglie di Antonio

LISA, figlia di Antonio e Mara

TONY LAMONACA, miliardario

MARIO, figlio di Tony

ALFIO DE CARO, pensionato

ROSA, moglie di Alfio

CARLO, figlio di Alfio e Rosa

MIRIAM GENTILE, insegnante di musica

ALFONSO BASILE, ragioniere

DON LUIGI PACE, sacerdote

DANIELA CANNATA, giornalista

Prefazione

E’ il 20 settembre del 1988 in Sicilia – Ogni riferimento a fatti o a persone è puramente casuale e dettato dalla fantasia dell’Autore.
Finita di scrivere il 29.10.2013 in Scicli (Rg) – Tutti i diritti riservati e tutelati dalla SIAE

Socio SIAE, posizione 68330 sez. D.O.R. cat. Autori

Primo Atto

PRIMO ATTO

La scena.

L’interno di una portineria di un ex albergo. Una grande porta a vetri in cui un tempo c’era scritto, “ Albergo Splendor “, il fondo, lascia intravedere delle scale che vanno verso i piani superiori e le persone che vi transitano. Tale porta servirà da comune. Un’altra porta si trova a sinistra della scena, per chi guarda, conduce all’interno dell’abitazione. Qualche quadro, un divano, qualche sedia, un tavolinetto per giocare a carte, con abautjour. Accanto alla vetrata, sulla destra, una vecchia consolle telefonica, disattivata, con dei cavi telefonici che si inserivano nel quadro generale per smistare le varie comunicazioni. Si nota che il tutto, ambiente e mobili, hanno una notevole vecchiaia. E’ domenica 20 settembre, del 1988.

****************

E’ in scena Mara, sta preparando il tavolo da gioco, con molta cura, bottiglie di liquore, specie l’Amaro Siciliano, bicchieri, un capiente portacenere. Suona il campanello e Mara va ad aprire. Ritorna seguita da Rosa e Alfio.

ROSA : (sui 55 anni, un donnone, mentre il marito Alfio, piccolo di statura, ex ferroviere, pensionato per motivi di salute, ha un discreta balbuzie e il vizio di ripetere le ultime parole dell’interlocutore) Buongiorno Mara.

MARA : Buongiorno cummari. (poco gioviale)

ALFIO : Mè cumpari Antonio co-co comu sta’?

MARA : Sta riposando. Vuliti ca ‘u chiamu?

ROSA : No..no, cummari, non sia mai, lasciatelo riposare, gli fa bene.

ALFIO : Gli fa bene. Dovrà sostenere una gi-gi una giornata ca-ca campale, che fa scherziamo, lasciatelo ripo-po…riposare.

MARA : (parlando sottovoce) Puvirazzu, nun ci ‘a fà cchiù, è una responsabilità troppo grossa, dovete capirlo. Ma accomodatevi, vi prego.

ALFIO : Prego…prego…Non vorremmo disturba-ba, disturbare..và! Proprio in qu-qu…questo giorno singaliatu….ci accomodiamo, ci accomodiamo.

MARA : Ma quali disturbu…prego, prego, accomodatevi. (siedono tutti) Vedete, amici e cumpari miei, mè maritu dopu trent’anni di ‘stà vita, uno come lui, che non ha mai voluto contrarietà, arriva a non poterne più. Il peso di questo palazzo, la responsabilità verso tutti noi, voi, se la sente addosso…non ci dorme la notte e poi specialmente quando arriva questo momento disgraziato…ogni anno, capite?

ROSA : Capiamo…capiamo tutti, cummari carissima. Nuatri nun sapiti la riconoscenza che abbiamo ppì iddu. Certamente è una grossa responsabilità, ma se non ci aiuta lui, chi ci potrebbe aiutare?

ALFIO : Certu, chi ci potrebbe aiutare! Cummari, nuatri vu-vu…vulissimu fari qualcosa, ma ca-ca c’avimu a fari? Ditelo! (dalla comune, bussando alla vetrata appare la prof. Miriam, sui 60 anni, ancora piacente, dinamica, ha qualche libro sottobraccio)

MIRIAM : (sottovoce) Buongiorno a tutti. Don Antonio come sta?

MARA : Sta riposando, signorina! Ha fatto una brutta nottata. Poi si ‘nsonna e parra…E’ comu se iucassi ‘e carti..”Scupa! Cinqu e dui setti. Scupa, curnutu.” Appoi cancia e dici “Vittoria, devi morire…devi morire…” ‘U sapiti, comu ‘e tifusi do palluni…Tali e quali….Mischinu! Del resto, ogni anno è così, la notte prima non dorme, sente la responsabilità, signorina…

ALFIO : La responsabilità, signorina

MIRIAM : Oggi è il 30° anniversario, dovremmo festeggiare, almeno i vecchi inquilini, che ne dite?

ALFIO : Una be-be…una bella pinsata, professoressa, che ne dite?

MIRIAM : Sono io che ve lo dico…!

ALFIO : Certo, ce lo dite voi…? E quello che dico pure io! (certe volte nei ragionamenti si incarta e non riesce a uscirne)

ROSA : E se pirdimu?

MIRIAM : (tutti riflettono, facendo gli scongiuri) Già!!

ALFIO : Sono si-si…sicuro che vinceremo! Antonio è ‘u nummuru unu, perdinci!! E poi non per dire, ma con la mia co-co…collaborazione, che non ma-ma…manca mai, eh…eh…che fa scherziamo? Scusati cummari, pe-pe…però potremmo prendere dei provvedime-me…provvedimenti..chi sacciu… agghia…sali…dei cornetti…

ROSA : Sì, ccà crema, sali e tabacchi, spaghetti agghia ogghiu e peperoncino. Ma finiscila, scimunitu, ancora ‘sti cosi vai pinsannu…(riflettendo) Casomai…putissimu chiamari a don Luigi Pace, ‘u parrucu da Matrici, oltri a essiri preti è puru immirutu…’na tuccatedda…facissi beni…pari ca porta furtuna, i genti venunu apposta ppì farisi binidiciri la qualunque…appoi ci scoppunu ammucciuni ‘nto immu e pari…voci di populu…

ALFIO : …voci di Diu!

ROSA : Pari, diceva, che il sortilegio si compia.

ALFIO : A sì? Tu ‘u gobbettu ‘u puoi tuccari, iu ‘i curnicchi…no…

ROSA : Ma ccchi c’entra, chiddu preti è, c’è ‘a scusa…benedici ‘a casa, l’attrezzatura, ‘u facimu manciari e biviri…e chiddu ‘sta! Cchi ‘ni pinsati? E poi è sempri uno della nostra parti…và?

MARA : Cummari, se diciti di fari ‘a prova, facimu ‘a prova. La posta è troppo alta, ne vale la pena, o no? (tutti abbassano la testa) Allura è cosa fatta.

MIRIAM : (con nostalgia) Quanto tempo è passato! Quanti brutti ricordi..(tutti abbassano la testa, commossi) quante umiliazioni…

ROSA : Però lei, mi scusassi, è sempri bedda como ‘o suli…

MIRIAM : Sempre 60 anni ho, anche lei era bella….Ma perché ci ostiniamo a darci del lei? Chiamami Miriam, Rosa…siamo stati nella stessa barca…

ROSA : E va beni. Riprendendo il fatto della bellezza, tu battevutu a tutti a tutti…

ALFIO : A tutti. E facìa firmari ‘i spe-pe…i spe-pe…i speri, maliritta ‘sta ba-ba…’sta balbuzie…

MIRIAM : Ma vi siete fatto vedere da qualche specialista?

ROSA : ‘Nca comu, dici ca è una cosa di testa, no di lingua. Iddu si emoziona, voli diri ppì forza ‘na cosa e ccù l’emozioni ci veni il balbettio…, nun sulu, ma ppoi voli sempri parrari, non è che si capacita ca è megghiu ca stapi mutu, no, deve intervenire. ( Alfio è mortificato, Miriam lo consola)

MIRIAM : Ma perdiri, mischinu. Rosa, sei stata fortunata che hai trovato quest’uomo. ( Alfio si presta al ruolo del salvatore) Tutte noi, le signorine, voglio dire quelle di allora, dell’Albergo Splendor, che speranza avevamo?

ROSA : Nessuna! Hai ragiuni, Miriam. Se nun truvava ad Alfiuzzu, mi fineva ‘nmezzu ‘a strata…(abbraccia suo marito, tutti piangono)

MARA : Ora basta, pensiamo a quello che ci aspetta oggi. Il passato è passato.

ROSA : Cummari m’aviti a scusari, ma iu ‘na ddummanna ci l’haiu ‘a fari a professoressa…Ma pirchì nun t’a spusatu?

MIRIAM : Ma tu pensi che nun ci abbia pensato? Solo che non potevo dimenticare…avevo paura che un giorno, mio marito avrebbe scoperto il mio passato e mi avrebbe mandata via di casa.

ROSA : Ma sono cose passate, 30 anni fa. Iu nun ci pensu cchiù, si…è veru…nei primi tempi…ma poi il mio Alfiuzzu mi ha fatto dimenticare tutto, mi ha dato tante soddisfazioni. Sono stata la moglie di un capo-stazione, chiffà schirzamu? (si abbracciano) Mi ha fatto fare ‘nu beddu figghiu, Carluzzu, avvocato civico…

MIRIAM : Civilista, vuoi dire?

ROSA : Si chissà ddocu. Chi pozzu vuliri di cchiù? (dalla comune entra proprio Carlo, un bel ragazzo, ha una borsa da lavoro) Ecculu ccà, il mio pileri!

CARLO : Salve a tutti. Ci aviti riunioni? Ahù, parrina, (A Mara ) viditi ca ‘sta vota ‘i signali ‘i fazzu iu. Mè patri, ormai, nun nn’è cosa. L’annu scursi ppì diricci a mè parrinu ca l’americanu aveva ‘u tri, ‘nveci di scacciari l’occhiu destru, ci scacciò chiddu sinistru, ca vuleva diri settibellu. E chiddu ci va a fari a scupa ‘i tri. Stava pirddennu ‘a partita.

ALFIO : Ma chi cci ‘ncucchi… leviti ‘i ccà…v’a fatti l’aringa…

CARLO : Si…’a beccaficu…parrina, ci puntu ah!

MARA : Ah, a propositu, Carluzzu, quannu passi d’a Matrici, ci ‘u dici ‘o parrucu, don Luigi, ca veni ccù prescia…

CARLO : (preoccupato) E chi successi…Sta mali mè parrinu?

MARA : No, ‘na cosa tra nuatri, tu dicci di veniri. Se ci telefunu iu, nun veni, se ci ‘u dici tu, di sicuru ca veni…

CARLO : Va beni, comu vuoi. Buona mattinata a tutti, nun fati cosi storti, mi raccumannu, ci vediamo a pranzo. (via dal fondo)

MIRIAM : Chi beddu figghiu c’aviti…(a Rosa e Alfio)

ROSA : Se tu avissitu vulutu, cu ‘u sapi a ‘st’ura quantu n’avissitu figghi?

ALFIO : Si ca-ca…si capisci…Cchi ci voli?

MARA : Scusati, vaiu a vidiri comu stà mè maritu, se avi bisognu, compermesso. (via a sinistra)

ROSA : Ma le altre…si insomma..le altre colleghe, le altre signorine..và, hia notizie, si saranno maritate, o no? Iu, ppì furtuna dopo solo un anno, truvai ad Alfiuzzu e scappai ppì pazza…e quindi all’autri mancu m’i ricordu beni..beni…

MIRIAM : Purtroppo le notizie che ho avuto non sono belle. Ci siano sentite con qualcuno di loro sino a qualche anno fa, poi niente. Con l’amica mia del cuore, Aurora, il cognome non ricordo, dormivamo nella stessa stanza. Si era innamorata di un ufficiale americano che le proibì di fare il mestiere. Le comprò un appartamentino del palazzo, proprio attiguo alla mia stanza e la mantenne inviandole ogni mese un assegno. Veniva a trovarla poche volte l’anno, sempre di nascosto, di mattina presto o la sera tardi; io li sentivo dalla mia stanza, ma non l’ho mai incontrato, né Aurora mi ha mostrato una sua foto. Poi rimase incinta e nacque una bella bimba. Ma durante il parto, la povera Aurora morì. L’amante americano pensò alla piccola ricoverandola in un prestigioso istituto che avrebbe provveduto alla sua educazione fino alla maggiore età. Queste cose me le disse l’ostetrica che la fece partorire, una mia ex collega….

ALFIO : Professoressa di lingue…?

MIRIAM : Ma quale professoressa! Era una collega di vita…Però,purtroppo, non mi disse dove era questo posto. Una certa Stella, poi, si è suicidata alcuni anni fa, Silvia è in manicomio, ad Aversa, Adua ha un brutto male…volete che continui? (piange sommessamente, Rosa la conforta) Come avrei potuto pensare a sposarmi, se solo avessero saputo i miei figli, mio marito…

ROSA : Certu, era un problema che io ho avuto con mio figlio. Appena fece 18 anni, mi fici forza. Aiutata da quell’angelo di mio marito, ‘u pigghiai e ci dissi tuttu. ‘U picciriddu ormai era un uomu e capiu. Ci cuntai tuttu, della povertà ca si tagghiava ccò cuteddu, mè patri, ‘mbriacuni di setti generazioni, ca nun pirdeva l’occasioni ppì piggghiari ‘a corpa a mè matri, pugna, pidati, tri aborti ci fici fari, ottu figghi terrorizzati. Iu era a cchiù granni e cc’aveva a fari. O faceva ‘a sguattera ‘nta qualchi nobbili ppi quattru liri e 5 chila di frummientu ‘o misi, e poi, macari, s’avissi apprufittatu di mia, puviredda, o avissi fattu a…(piange)si…dicimulu forti….senza paura e senza scantu…’a fimmina ‘i strata…(piange, il marito e Miriam la confortano) Ho pagato con la mia stessa vita, nessuno mi ha regalato niente. Mè figghiu ha capito e mi ha voluto cchiù beni ‘i prima. (compare dalla sinistra Mara)

MARA : Scummettu ca ancora parrati di 30 anni fa. Basta, pinsamu a oggi. Mè maritu stà megghiu, sulu ca ci spuntau un forti duluri di testa, ci misi né borsa ‘i ghiacciu. Nun nn’aveva ‘a borsa vera e propria e ci misi ‘na borsa ‘i plastica. Mischinu, com’è cumminatu? Pari ‘nturcu.

MIRIAM : Avete ragione, signora. (fa per alzarsi e nello stesso momento entra un signore, indossa un vestito scuro, occhiali neri, cappello nero e ombrello nero e anche una borsa nera)

BASILE : (tutti alla sua vista sono terrorizzati, a soggetto) Scusate, ma una volta, tanto tempo fa, in questa via, al numero 23, c’era l’Albergo Splendor….(Miriam prima di uscire dalla comune guarda incuriosita Basile, i loro sguardi si incontrano..)

MIRIAM : Mi scusi…(Basile si scansa e la lascia passare seguendola con lo sguardo)

ROSA : (tirando per il braccio il marito) Cummari, nuatri togliamo il disturbo, quannu siti pronti, ni chiamati. (via dal fondo)

MARA : (rivolta a Basile) Scusassi, ma lei a chi cerca? Siete quello delle tasse…

BASILE : No..no…ma quali tasse!

MARA : Pompe funebri? (Basile scuote la testa) Siete di lutto?

BASILE : Ma quale lutto e lutto!

MARA : Si, va beni, nun è di luttu, nun è chiddu de tassi, ma lei cu schifiu è? E a cù cerca?

BASILE : Una persona che era ospite dell’Albergo Splendor…

MARA : A parte il fatto che questo non è un albergo o almeno non lo è più da trent’anni, e poi, mi scusassi, nun nn’è ca si ponnu dari nutizi supra e clienti accussì, a piacimento, al primo venuto, senza che si è rappresentato. I portieri abbiamo il segreto professionale, comu all’avvocati, eh? Cchi ci pari!Anche se non abbiamo l’album.

BASILE : Giusto, giustissimo! Riconosco di essere stato un maleducato. Mi presento. Ragioniere Alfonso Basile! (stretta di mano)

MARA : Ora ne possiamo parlare, s’assittassi. (si siedono)

BASILE : Le racconto in poche parole perché sono qua. (entra Antonio, con in testa una borsa di plastica con dentro il ghiaccio, la tiene con una mano, sembra un turbante, è stanco, ha ciabatte e indossa il pigiama, alla vista di Basile ha un sussulto)

ANTONIO : Matri santa, chistu cuè? E’ morto qualcuno? Siti chiddu dè tassi? Vi morsi qualcunu di recenti?

MARA : Non ti spaventare, questo è il ragioniere Basile, è vero?

BASILE : Propriamente, piacere. ( gli porge la mano, Antonio gliela porge, ma con l’altra si tocca di nascosto)

ANTONIO : Quartara, piacere tutto mio. S’assittassi, stassi comodo! Scusassi, ma nun po’ veniri in altro giorno, comu viri, haiu ‘a testa ‘nta l’aria…ho un peso ccà, proprio sul cocuzzolo…Matri Santa, Mara dammi qualchi cosa, ‘na Cibalgina, ‘n’aspirina, 50 gocci ‘i novalgina…basta ca mi passa questa cefalonia…

BASILE : Veda signor Quartara, io per trovare quest’albergo…

ANTONIO : (Risentito) E ccù ci ‘u dissi ca chistu è un albergu, quali albergu?

BASILE : Sua moglie.

ANTONIO : Tu? (visibilmente contrariato)

MARA : Ci dissi però ca è da trent’anni ca non è cchiù n’albergo!

ANTONIO : (togliendo la borsa col ghiaccio dalla testa, stringendola con le mani) Matri Santa cchi duluri, mi sta scoppianno, malaritta.

MARA : Ma proprio ora t’avia a veniri! Ti v’appigghiu ‘i gocci?

BASILE : Voi avete una cefalea a grappolo…

ANTONIO : Bravu…bravu…si, haiu ‘na rappa di duluri…ccà…ccà, ca mi parti di ccà (la testa) e mi scinni finu nell’osso buco…quà sotto (osso sacro) …un duluri…Lei è bravu…lei è bravu…chi è dutturi?

MARA : Ma chi dici, ti dissi ca è ragionieri!

ANTONIO : Pirchì nun po’ essiri ragionieri e dutturi nello stesso tempo. Ma quantu sei ‘nsurtanti e maleducata…

BASILE : Se permette, sempre che non ha niente in contrario, posso fare la prova a farglielo passare. Mia moglie, buon anima, mi diceva che avevo un fluido magico nelle mani…

ANTONIO : ‘U dissi iu…

BASILE : Come dice?

ANTONIO : Dico che quando mi avete dato la mano, ho capito subito il floido che avete…mi vinni ‘ntrimulizzu…e ‘na calura.

MARA : Ma a mia nun mi vinni?

ANTONIO : Mara, ognunu abbiamo la nostra sensibilità, giustu? E tu non sei sensibile, questo lo sapevamo….(dandosi delle arie)

BASILE : Si capisce. Voi siete più sensibile.

ANTONIO : Mara, chistu è bravu…chistu è bravu!

BASILE : Grazie. Bene, procediamo, ci vuole un attimo. State seduto…comodo, rilassatevi. Ora vi impongo le mie mani sulla vostra testa e poi vi sentirete meglio, vedrete.

MARA : Si, va beni, ma iu ti v’appigghiu ‘i gocci ‘u stissu. (via a sinistra)

ANTONIO : Scusassi, ragioniere. Mè mugghieri mi ha distratto un poco. Lei dissi ca mi imponi…Ci fazzu a sapiri ca a mia m’imponi nenti nuddu, ci siamo capiti? Sulu ‘i tassi m’imponi ‘u Statu, appoi nuddu si po’ permettere.

BASILE : (tranquillizzandolo) Certo…certo. Imporre nel senso di mettere…mettere le mie mani sopra la vostra testa, non mi permetterei mai di imporvi proprio niente.

ANTONIO : Ah, ora si! Procediamo. Tanto, provi nn’haiu fattu, chista ccù l’autri. Sutta.

BASILE : Bene. Rilassatevi e chiudete gli occhi. (Antonio toglie la borsa di plastica col ghiaccio dalla testa e Basile vi mette le sue grandi mani) Rilassatevi…voi adesso sentirete le mie mani emanere uno strano calore sulla testa che vi pervaderà tutto il corpo, e pian piano proverete un senso di benessere….di sollievo…di rilassamento e il dolore che avevate prima scomparirà come per incanto. Appena conterò fino a tre, sarete in forma e pimpante meglio di prima. Uno, due e tre! (pausa) Come và?

ANTONIO : (fortemente stupito, gira la testa, poi la piega sinistra poi a destra) Matri Santa, ma è un miracolo…aviti ‘i manu santi. (cercando di baciargliele) Siti comu a Padre Piu! Nun criru c’aviti ppi casu ‘i stimm….’i stimpiti…’i stipiti….

BASILE : Ma non dite fesserie…(entra Mara con un bicchiere in mano e lo porge ad Antonio)

ANTONIO : Mara, è un miracolo…sono rinato, Matri Santa cchi miraculu, autro ca ssà schifezza ca ogni vota mi duni…ettala (rifiuta il bicchiere). Pigghici ‘o dutturi…cioè ‘o ragiuneri, qualcosa da bere… Ma pregu s’assittassi..

BASILE : Ma non voglio disturbare. Vengo domani! (fa per alzarsi, ma Antonio d’autorità lo blocca)

ANTONIO : Chiffà schirzati? Voi da qui non vi muovete. Dunchi…parrati a vostro piacimento, appoi manciati ccù nuatri e se nun nn’aviti unni dormiri….a disposizioni, vi dugnu ‘u mè lettu ccù tutta ‘a mugghieri. Forza!

MARA : Ma quantu si scunchiurutu, scimunitu! Nun ci cridissi, ragiuneri.

BASILE : Si capisce. Dunque, io sono vedovo da 3 mesi…

ANTONIO : Condoglianze.

BASILE : Grazie. Mia moglie, buonanima…(si segna) prima di morire mi pregò di fare delle ricerche sulla sorella Maria…

ANTONIO : Si era persa?

BASILE : Ma che! Questa sorella, a 18 anni scappò di casa per seguire un bell’imbusto…

ANTONIO : …‘nu bellu chi?

BASILE : Insomma, un delinquente, un mafaniente. Costui le promise che l’avrebbe sposata, ma poi le cose andarono diversamente…

ANTONIO : Chi storia, mi sta parennu ‘nu romanzu do Bolero Film…

BASILE : Mia moglie..(segno croce assieme ad Antonio) pace all’anima sua, poi conobbe me e…

ANTONIO : …e si scurdò di so soru?

BASILE : La prego, non m’interrompa…

ANTONIO : Maronna chi sugnu sceccu, certu, ci stuccai ‘u filu?

BASILE : Posso?

ANTONIO : Che cosa?

BASILE : (risentito) Dico, posso continuare?

ANTONIO : Mi dovete perdonare, ma è ‘a testa, prego…prego…continuate. (Mara ha il fazzoletto in mano e appena Basile sta per continuare, Mara lo blocca)

MARA : Vi canuscistuvu ccù vostra muggheri…ddocu erumu arrivati quannu ‘u scunchiurutu di mè maritu ci stuccau ‘u cuntu.

BASILE : Ah, già, mia moglie…(segnandosi e anche Antonio)…

BASILE – MARA – ANTONIO : …buonanima! (Basile sta per continuare ma Antonio lo interrompe…)

ANTONIO : Vostra moglie vi aveva pregato…ecc…ecc….poi vi siete accanusciuti e…

BASILE : (contrariato) E ci siamo sposati!

ANTONIO : Oh finalmente, siamo arrivati al dunque.

BASILE : No…no…, il dunque non è questo. Sua sorella Maria, ossia mia cognata, non diede più notizie di se per divesi mesi. Poi mandò una lettera. Una lettera molto commovente, senza indirizzo, dove diceva che faceva una vita molto…ecco…molto travagliata e che non sarebbe più tornata al paese per la vergogna. ( Mara sta piangendo e anche Antonio è commosso)

ANTONIO : Scusassi se vi interrompo, ma chi misteri faceva vostra cugnata, no ppì farimi ‘i fatti vostri…

BASILE : (imbarazzatissimo) Il mestiere più vecchio del mondo…

ANTONIO : ‘A cammarera? (Basile scuote la testa) ‘A lavatrici? (Basile c.s.) ‘A ruffiana?

BASILE : La prostituta! (sorpresa dei due che si guardano increduli)

ANTONIO : No!! Scusassi, e unni ‘a…faceva…insomma…unni prestava servizio, la signorina?

BASILE : Albergo Splendor, ossia, in questo palazzo, fino al 1958, quando la legge Merlin li chiuse…voglio dire…i bordelli. (i due portieri sono esterrefatti) Poi, dopo la chiusura scrisse altre lettere a mia moglie, (tutti si segnano) sempre a mia insaputa. Solo prima di morire, mia moglie mi rivelò di questa lettera dove c’era l’ultimo l’indirizzo di mia cognata, ossia, questo palazzo, oltre a una bella fotografia che ho portato con me. (prende la foto e la mostra ai due che la osservano attentamente)

ANTONIO : Mara, a ccù t’assumigghia? A chidda ca pensu iu?

MARA : Proprio così. Ci assumigghia assai.

ANTONIO : E comu si chiamava?

BASILE : Maria, Maria Notaro, del ’28. Era gemella di mia moglie, erano due gocce d’acqua. Il padre l’aveva violentata e così decise di scappare. Poi la madre si decise a denunziarlo e fu la salvezza per mia moglie, che rimase con la madre sin quando conobbe me.

ANTONIO : Sintissi, io non dovrei parlare, ma lei è una persona per bene, e sicuramente cerca a sua cognata perché ha buone intenzioni, quindi ci confesso che in questo palazzo c’è qualcuno che assomiglia a vostra cognata…e…

BASILE : Quando sono entrato, mi sono incrociato con una bella donna, sui 60 anni, ci siamo guardati come se ci fossimo conosciuti in un’altra vita, e questa donna assomigliava incredibilmente a mia moglie..quindi penso…

MARA : Si, era quello che le voleva dire mè maritu. Però la donna che dice lei, si chiama Gentile, Miriam Gentile, professoressa di musica. E’ con noi da 30 anni, da quando noi abbiamo rilevato la portineria, anzi ci pozzu diri, ca idda era già ccà.

BASILE : Il nome sarà falso. A quell’epoca tutte le donne che facevano quel mestiere erano schedate e quella macchia rimaneva un marchio infamante, quindi se volevano rifarsi una vita onesta dovevano cambiare nome, era una cosa normale. Il giorno dopo l’uscita della legge Merlin, si trovarono senza lavoro e senza futuro. Quindi la soluzione era avere documenti falsi, una vita nuova, senza passato.

ANTONIO : Di sicuru è accussì. E’ al secondo piano. La troverete a casa. Se funzionassi ‘u telefunu internu, comu ‘na vota…! Zac, ‘ncorpu di spina e vi mettevo in comunicazione…

BASILE : No…no, è già quello che avete fatto. Vengo nel pomerigio. Vi saluto e grazie ancora. (stretta di mano, poi Basile via dal fondo)

ANTONIO : Cosi da pazzi! Cchi storia! La signorina Gentile si chiama Notaro! (riflettendo)

MARA : Certo ca ccù chiddu ca haiu ‘ntisu oggi putissi scriviri ‘nlibru…cchi storii, cchi drammi…’i lacrimi m’hannu nisciuti a ciumi…Quantu duluri, quanta tristizza…e sugnu sicura ca ancora nun s’à finutu, ci sarà qualchi autra sorpresa…ni sugnu sicura comu ‘a morti!

ANTONIO : E iu no? Iu sugnu comu n’armali…non ho un cuore, non ho sensibilità?

MARA : Ma cù ti dici cosi? Iu parru ppì mia, va beni?

ANTONIO : No, mia cara, tu parri a matula, mi vuoi far capire ca tu hai ‘u cori tennuru, che ti commuovi per un non niente. Iu, inveci, sugnu un cannibali, selvaggio…Questo vuoi diri…Signora vice portiere, e basta.

MARA : Ma chi cci ‘ncucchi…và curchiti, và, ca hai ‘a frevi! (suona il telefono)

ANTONIO : (prende la cornetta) Pronto…pronto…! ‘Nca quali, chista è casa Quartara e no Damigiana. Ah, ha sbagliato? Mi sta parennu ca lei sbaglia ‘o spissu, ha capito? (riattacca) Sarà ddu cosa fitusu di Lamonaca, mi sfutti finu ‘a casa…delinquenti!

MARA : Ma lassulu stari, ma cu t’u dici ca è iddu. Sarà qualcunu ca sbagghia ‘u nummuru e si và a teniri ‘nti nuatri…

ANTONIO : Scienziata ca si, unu c’avi a chiamari Damigiana, comu fa a chiamari Quartara, un caso? No, è fattu apposta, scemunita!

MARA : E se circavunu a un certu Bummala, scoppiava ‘a guerra? Ma finiscila, stai calmo e rilassati. (suonano, è un giovane distinto, ben vestito, Antonio va ad aprire.) E st’autru cuè? A cu cerca?

MARIO : Scusate, se vi disturbo. Io mi chiamo Mario Lamonaca…( Antonio ha il sangue agli occhi…)

ANTONIO : Comu…comu….non haiu capito beni? Lei si chiama Lamonaca! Il figlio di…

MARIO : Tony….

MARA : (gentile) Ma prego…prego s’accomodassi…Oh, quali onuri….Ma so’ patri non doveva venire nel pomeriggio?

ANTONIO : (irritato) Appuntu, lei chi ci fa ccà di matina? Vuole sondare il campo? Voli fari un sopralluogo per sentire l’umore, l’atmosfera?

MARIO : No..no…adesso le spiego. Ho avuto il piacere di conoscere…

LISA : Mario? (raggiante, una gran bella ragazza)

MARIO : Ciao Lisa. Stavo spiegando ai tuoi che ci eravamo conosciuti qualche tempo fa e che…

ANTONIO : Un momento…un momento…Nun ci st’haiu capennu nenti. Giovanotto, figghiu di chissu ddocu, e mi dici che hai canusciutu a mè figghia, e me lo dici…così…

LISA : Papà, ma pirchì ‘u stai trattannu accussì, chi t’ha fattu?

MARA : Nun ci fari casu Lisa e anchi lei, signor Mario…, ci scusassi.

ANTONIO : A mia no, nun mi scusari e sugnu sicuru ca se lei…

MARIO : Mi dia pure del tu, mi fa piacere…

ANTONIO : Assettiti, ca ti cuntu ‘na storia di tò patri e poi mi dici chi ti nni pari! Ok, comu diciti voi miricani? (Mario acconsente, si siede e pure Lisa)

MARA : Iu siccomu ‘a storia ‘a canusciu bona, priparu ‘u manciari, tantu sempri iu haiu ‘a fari. Compermesso, signor Mario.

MARIO : Prego, signora Mara. (si risiede nel divano accanto a Lisa)

LISA : (infastidita) Nun mi nni vaiu per non essere scortese con Mario, pirchì oramai ccù ‘sta storia nun nni pozzu cchiù!

ANTONIO : Allura sciò, via.

LISA : Giustu, aiutu ‘a mamma. Accussì ti sfoghi comu vuoi tu. Mario ti fermi a pranzari con noi?

MARIO : (imbarazzato) Se non disturbo!

ANTONIO : Prego…tanto si ‘u patruni!

LISA : Beni, mangi con noi! ( energica, via a sinistra)

ANTONIO : Dunchi. Fino al 1958, questo palazzo era un albergo, l’Albergo Splendor, frequentato da…bè, a tia nun ti interessa. Ti pozzu diri ca tò patri era un ospite fisso, sia in tempo di guerra che in tempo di pace. Dopo qualche anno dalla fine della guerra, tuo padre ritornò in America, dove riprese, se non sbaglio a fare l’uomo d’affari!

MARIO : Esatto.

ANTONIO : Quando veniva in Sicilia, non mancava di passare dal vecchio Albergo Splendor che nel frattempo aveva perso la sua antica tradizione. Ma iddu c’era affezionato, pirchì? Nun t’ù pozzu diri! Ti pozzu diri che comprò lo stabile.

MARIO : Lo so, noi facciamo questo mestiere, compriamo e ristrutturiamo questi vecchi stabili. Ne abbiamo 18 in Sicilia, tra alberghi e vecchi palazzoni. Non comprendo però perché non continuò l’attività alberghiera!

ANTONIO : Va beni, te lo dico. Ormai sei uomo. Questo era un albergo…insomma, un….bo…

MARIO : Un bordello?

ANTONIO : E comu ‘u sai?

MARIO : L’ho immaginato!

ANTONIO : Allura diciamola tutta. Dopo la legge Merlin sulla chiusura delle case chiuse, l’attività dell’albergo si fermò, non veniva nessuno per affittare le camere, avevano ribrezzo e schifo di questo posto che fino a poco tempo prima era stato quello che era stato. Tuo padre capì che doveva cambiare utilizzo del palazzo e allora, via il nome, via tutte le signorine, nuova vita. Lo ha interamente ristrutturato, ci canciau puru ‘u culuri. Di russu, addivintau verdino….pisello…sai com’è, tanto per restare nel tema. (sorriso di Mario) Diventarono appartamenti da affittare o vendere. E’ stato anche caritatevole, questo si. Ha permesso a me e alla mia famiglia di restare a fare sempre i portieri, alla signorina Gentile e alla signora Rosa con suo marito e suo figlio, di rimanere ospiti del palazzo senza pagare l’affitto, così, per pura concessione bonaria, anche se lui avrebbe avuto un ritorno. Ricordati ca tò patri nun fa nenti ppi nenti, credimi. Quindi queste persone gli servivano tanto per fare un po’ di movimento…La gente avrebbe visto che qualcuno entrava e usciva dal palazzo, persone normali e soprattutto oneste, da quel punto di vista. L’idea fu ottima, tuo padre riuscì a vendere sei appartamenti e cinque li ha affittati. Ma non finisce qua! No…no! Da qualche mese, si è aggiunta all’elenco degli inquilini col biglietto omaggio, diciamo così, una ragazza di 25 anni. E’ stato personalmente tuo padre a dirmi che la giovane, una certa Daniela Cannata, non avrebbe pagato alcun affitto. Tu mi dirai perché? Nun nn’ù sacciu. Io eseguo gli ordini. Ma non finisce qua! La cosa, però, che mi ha dato fastidio è stata una…

MARIO : E quale?

ANTONIO : Tuo padre con noi, ossia, con gli inquilini col biglietto omaggio, ha giocato come il gatto col topo, come il re con i cortigiani, come il padrone con i servi.

MARIO : In che senso?

ANTONIO :Nel senso che non avremmo pagato alcun affitto a una condizione…

MARIO : Quale?

ANTONIO : Ogni anno il 20 settembre, sarebbe venuto dall’America e avrebbe giocato con me una partita a scopa. Se io avessi perso, avremmo dovuto pagare l’affitto dell’anno in corso e degli anni precedenti, se avessi vinto, avremmo continuato col biglietto omaggio. Meno male che ho sempre vinto. Capisci che cattiveria e perché ce l’ho con tuo padre? Capisci la mia responsabilità?

MARIO : Sono stupito. Non capisco alcune cose del suo racconto, a cui credo in tutto e per tutto, ma…

ANTONIO : Ma quali ma?

MARIO : Don Antonio, mio padre, a New York, è presidente di una fondazione benefica, intestata a lui. Ogni anno spende più di 100.000 dollari per i siculo-americani bisognosi. Ma come può pensare che con voi stia giocando con tutta questa cattiveria. Mi sembra assurdo. Io sono sicuro, invece, che lo fa solo per gioco, senza malvagità e sono convinto che se per caso vincesse a scopa, non succederebbe niente, ok? Continuereste a non pagare niente perché ormai lui ha deciso così! Vedete, mio padre in cuor suo, nel suo intimo è sempre rimasto un ragazzo e forse non si reso conto del disagio che vi reca! Anzi, vorrei vederci chiaro anche su questa ragazza di cui mia avete parlato. Chissà cosa c’è sotto. (entra Lisa)

LISA : Si è calmato, Mario?

MARIO : Beh, tuo padre non ha tutti i torti. Dal suo punto di vista, anche io mi sarei arrabbiato. (entra dal fondo Daniela, una bella ragazza, con una borsa, sui 25 anni, sbarazzina)

DANIELA : Buongiorno a tutti. Ciao Lisa.

LISA : Daniela, ti presento Mario Lamonaca, il nostro padrone di casa.

MARIO : (guardandola incuriosito) Piacere, Mario. Veramente il padrone di casa è mio padre, io sono solo il figlio, anche se unico.

DANIELA : (Daniela è visibilmente emozionata per l’incontro) E’ un vero piacere conoscerla. Suo padre è una persona per bene, di una generosità unica, che non finirò mai di ringraziare per quello che ha fatto per me. Appena nata mi ha ricoverato presso l’Istituto delle Suore della Misericordia, è stato lui che ha pagato la mia retta, che mi ha mantenuto agli studi e ora mi ha regalato l’appartamento del primo piano. Mi ha sempre detto di chiamarlo zio, zio Tony. Mi ha detto che aveva promesso a mia madre che lui avrebbe pensato a me se le fosse successo qualcosa. E, infatti, mia madre morì subito dopo il parto.

LISA : (abbracciandola teneramente) Piccola Lisa, quanto avrai sofferto?

DANIELA : Sono stata fortunata, invece, Lisa. Ce n’erano peggio di me, sai quante?

MARIO : Ma mio padre, mi scusi, le disse il perché di tutte queste attenzioni, non che io sia geloso, anzi.

DANIELA : Mi ha sempre detto che un suo collega ufficiale, amico per la pelle, si era invaghito di mia madre, dopo la guerra, ancora in servizio in Sicilia, sono stati assieme per diversi anni e poi l’aveva messa incinta e subito era sparito nel nulla, senza dare notizie di se. Suo padre, sentendosi in colpa perché era stato lui a farli conoscere, ha fatto un po’ le veci di questa canaglia, di cui io non ho alcun indizio per poterlo rintracciare ma anche perché non m’interessava più! Suo padre, anche se lontano, mi ha dato il calore di un padre. Sono riuscita a farmi una vita. Lavoro, ho una casa e questi amici sono gli unici parenti che ho e mi bastano. (Antonio, commosso, le bacia la fronte, Mario l’abbracia assieme a Lisa)

ANTONIO : Picciridda mia. (entrano il prete, occhiali rotondi, cappello e tonaca, piccolino, zoppica leggermente, ha una gobba alquanto prominente, un po’ sordastro, porta il fazzoletto in mano perché sente sempre caldo e si asciuga, ogni tanto, insomma non ha avuto tanta fortuna nella vita, ma lui è contento lo stesso, lo accompagna Carlo) Patri parrucu, lei ci voleva. Oggi è…

DON LUIGI : ‘U sacciu…’u sacciu…’u miricanu…’a scupa…

ANTONIO : Ma chissu sparti…

DON LUIGI : Certu, cu sparti avi ‘a megghiu parti…

ANTONIO : Mariu, tutti l’avi ‘i difetta, nun ci manca nenti, però, dici ca porta furtuna. Ci vuoi tuccari ‘a gobba…toccaccilla, iddu nenti ti dici. Ci piaci, chi ci po’ fari mischinu, ‘a natura fu e iddu si fici preti ppì chissu.

DON LUIGI : Chissu cui?

ANTONIO : No, nenti, dissi ca è ‘u stissu! (all’orecchio)

DON LUIGI : ‘Stu picciottu cchi è ‘mparenti?

ANTONIO : No, mi pari di no. E’ ‘u figghiu di Lamonaca

DON LUIGI : Figghiu di ‘na monaca? (si segna) E cchi è ‘stu schifu, di quali monaca parri, Antoniu?

ANTONIO : Ci voli pacienza, Mariu. (all’orecchio) E’ n’amicu di Lisa,va beni?

DON LUIGI : E ‘sta bedda picciotta? (indicando Daniela) Di cuè figghia ?

ANTONIO : Parrucu, attaccammu l’interrogatoriu? E’ ‘na picciotta di passaggiu!

DON LUIGI : Ah, fa ‘u massaggiu? Bonu fussi, sugnu tuttu unucu pezzu!

ANTONIO : Si vidi! Ci vulissi ‘na bella passata ‘nta pialla.

CARLO : ‘U ‘ccumpagnai iu pirchì pinsai, chistu quannu arriva ‘a casa! Ora mi nni vaiu, tantu ‘a partita è oggi. Daniela vuoi ‘mpassaggiu?

DANIELA : Si grazie. Andiamo. ( i due via dal fondo)

MARIO : Un altro mistero. Ed è sempre mio padre, il centro della storia.

ANTONIO : Tò patri è sempre al centro di tutto, mio caro Mario! (entrano Lisa e Mara dalla sinistra)

LISA : Mamma, ccù Mariu ni facemu ‘nu giru, ci fazzu canusciri ‘u paisi, a pranzo saremo qua.

ANTONIO : Tantu iu ccà d’intra, fazzu ‘u pupu, è veru!

LISA : Papà, dai finiscila.

ANTONIO : Ah, sparti la devo finire? (minaccioso) Allura ricordati che qualsiasi permesso, quando io sono in casa…ossia, presente, lo devi chiedere a me. Tò matri passa in secono ordine. Per non diri altri cosi.

MARA : Nun ci dari cunti, recita!

MARIO : Tuo padre ha ragione, Lisa. Tocca a me chiedere il permesso.

ANTONIO : E sintimu com’è ‘sta richiesta di permesso?

MARA : Ma finiscila, cumiddianti…

ANTONIO : Iu cumiddianti?

MARA : Si…si, cumiddianti e traggediaturi…se ‘u vuoi sapiri. E ora mi stuffai! Lisa, itavinni, e turnati quannu vuliti.

MARIO : Se permettete, don Antonio, vorrei l’autorizzazione per uscire qualche ora con vostra figlia Lisa e fare una passeggiata!

ANTONIO : Tu sei bravo…tu sei bravo. Chistu si chiama parrari, questa è l’educazione. Pensu ca pigghiasti tuttu di tò matri, anche se non l’ho conosciuta. In questa casa, invece, io ho fatto l’errore di delegare mia moglie per l’educazione della figlia. (come una elargizione) Potete andare, vi è concesso. (teatrale, i due via)

MARA : Parrau ‘u principi ereditariu. Buffone! (via a sinistra)

ANTONIO : Strafalaria, portici a don Luigi ‘na cosa frisca.

MARA : (prima di scomparire a sin. sdegnosa) Nun nci nnè cosi frischi, sfrischici tu…’A cosa frisca voli! Mardittu iddu, ‘sta casa, e ‘u iornu ca m’u spusai! (alterata, via)

ANTONIO : Avete capito don Luigi…(il prete non risponde, poi fra se) E ccù chistu, haiu vogghia di farimi sentiri, ‘I purmuna si mancia! ‘U ficutu s’ù manciau ‘u miricanu e sugnu appostu. Don Luigi…

DON LUIGI : Chi dici, Ninuzzu. Ti ricordi quannu ti spusai? Chi cerimonia…

ANTONIO : Comu no? Dui uri e menza, stava finennu a pummaroru e friscati…n’a scurau ‘nte manu…Bella…bella veramenti, don Luigi.

DON LUIGI : E quannu morsi tò patri, paci all’anima sua. Ci fici ‘na prierrica, ci vosi ‘na notti ppi scrivilla, però ho avuto una bella soddisfazione…è veru, Ninuzzu?

ANTONIO : (ironicamente) Mè patri era puru cuntentu, infatti si susìu do’ tabutu ca era felici comu ‘na Pasqua. (con le mani sulla testa) Matri santa, e ora cu ‘u ferma? Don Luigi, vi fici chiamari di mè figghiozzu…

DON LUIGI : E quannu morsi tò matri, bonanima? Ti ricordi? Acqua…acqua….Ca mi vinni di diri “Funerali bagnato, funerali fortunato”, risati…ca pareva carnevali..(si asciuga col fazzoletto il sudore) Mi venunu accussì, spontanee…

ANTONIO : (fra se) Sull’onor miu, ci spaccu ‘u battisimu. Chisti sunu ‘i pinsati della mia geniali consorti…Ci avissi ‘a veniri un sintomu e un paralisi ‘nta lingua. (deciso) Dunchi, don luigi,….

DON LUIGI : Ma pirchì, quannu…(Antonio, per non farlo più parlare, gli infila un bel sigaro in bocca…il prete ha come un singulto)

ANTONIO : Vi piaci ‘a misura? Chistu veni di Cuba direttamenti. Mè cucinu ppì circari l’anima gemella ebbi a gghiri a Cuba. Patri parrucu, mi dovete credere, ‘na picciotta bedda comu ‘o suli…un pocu scurulidda, ma avi ‘ncosa… e dui cosi…(a soggetto sedere e seni, poi si accorge che ha davati un prete e…) insomma…cosi..cosi…de pazzi. Vuliti addumari, ’o v’u fumati dopu.

DON LUIGI : Dopu chi? Manciu ccà?

ANTONIO : Eccu, e ni criscìu ‘a spisa. (verso il pubblico) Pirchì non è che mancia normali, mancia super…dici…ma unni ‘u bbìa? Nun si sa, iddu mancia, sa cchi cci duni…basta ca mancia. (esce dalla cucina Mara) Senti, tu, viri ca il tuo caro preti immirutu, mancia ccù nuatri…

MARA : E ccù ‘u ‘nvitau?

ANTONIO : Tutti cosi iddu fici, si è autoinvitato. Ma cu ‘u chiamau?

MARA : Nun fui iu, fu ‘a cummari Rosa. Dici ca don Luigi è una speci di portafortuna.

ANTONIO : Si un ciondolo, un amuleto…

MARA : Comunchi, ormai è fatta. Ni putemu cunfunniri ppì ‘npiattu ‘i pasta?

ANTONIO : Macari a Diu! (verso don Luigi, alzando la voce per farsi sentire) Allura, don Luigi, sentitimi bonu. Manciati ccà, però…

DON LUIGI : Bravu, ‘u sacciu ca mi vuliti beni.

ANTONIO : Si, va beni, accurzamula. Però, diceva, voi mi dovete fare un piacere…

DON LUIGI : Parra, cc’haiu a fari?

ANTONIO : Oggi è il 20 settembre e…

DON LUIGI : E dumani è ‘u 21!

ANTONIO : E dopudumani è ‘u 22. (urtato) Don Luigi, sintitimi beni…Oggi, in questa casa succederà una cosa importante per la nostra vita, voi dovete fare una specie di bonifica dell’ambiente, una specie di esorcismo…

DON LUIGI : Cchi?

ANTONIO : E – sor- ci-smo….Nel caso che ci sunu ‘i spirdi malefici, me lo sento, st’anno nun nn’è cumu l’autri anni, mi sento debboli…

DON LUIGI : Iu ca nun ci sentu, tu ca parri di minchiati? Esorcismo…’i spirdi…ti senti debboli…ma cchi schifiu dici? L’annu scursu, sempre in questo periodo ti binidicii ‘a casa, pirchì mi dicisti ca sintevutu vuci, mobili ca si muvevunu…e iu comu ‘nu lollu, l’ho fattu, ca ‘u Signuri m’ha perdonari! (si segna) Ma insomma, unni vuoi arrivari? Vuoi iucari?

ANTONIO : Ah, si? Nun vuliti? Allura nun manciati!

DON LUIGI : (allarmato) Comu nun manciu? Vista l’urgenza con cui Carluzzu mi chiamò, ci dissi ‘a Michilina, ‘a perpetua, di nun priparari nenti, lassai ‘nsaccu di parruchiani ca s’avevunu a cunfissari…a don Pippinu ‘U Sinsali ci pigghiau ‘nsintomu ca dici ca è ‘o spitali mezzu mortu e i parenti ca mi vanu circannu, e ora mi dici ca nun manciu, ma chi manera è?

MARA : Don Luigi, nun vi preoccupati, in cucina cumannu iu.

ANTONIO : Ci pigghiati puru ‘i supra?

DON LUIGI : No…no, è che sei selvaggio…non hai palmo. Ma iu, però, ti stimu ‘u stissu. Mi ricordu quannu nascisti….

ANTONIO : (ad alta voce) No!! Don Luigi, vui mi vuliti beni, ‘u sacciu…(apre il casetto del tavolo da gioco e prende un mazzo di carte siciliane) ‘I viditi chisti?

DON LUIGI : Vuoi iucari? Nun sugnu cosa!

ANTONIO : Ma quali iucari. ‘Sti carti sono la mia salvezza o la mia rovina, sta a voi?

DON LUIGI : (stupito) ‘A mia?

ANTONIO : A voi…a voi…Voi mi dovete benedire queste carte..

DON LUIGI : Tu si pazzu….(alzandosi) si…si…tu si pazzu di manicomiu. A ora mi nni vaiu ‘o casinò e incomincio a benedire a roulette, ‘i carti do pocker, i dadi…e ci dicu ‘a genti..”Avvicinati…facitivi avanti cu ‘a benediri qualchi cosa…avanti avanti”…..ma leviti ‘i ccà, scemunitu. E iu comu ‘ncretinu ca sugnu ccà…

ANTONIO : Don Luigi…(serio) se nun mi binidiciti ‘sti carti mi ettu do barcuni!

DON LUIGI : Ma cchi dici? Se simu ‘o pianu terra!

ANTONIO : Ah, già! E iu mi nni vaiu ‘o primu pianu e mi ettu di ddà, c’è cosa?

MARA : Va ettiti ‘ntò puzzu, tragediaturi, chistu si, ‘ntintu tragediaturi.

ANTONIO : Allura affucu ‘a mè mugghieri…(le si avvcina con le mani sul collo, poi lei indifferente…)

MARA : Ma affuchiti ‘nta pila! (togliendogli le mani dal collo)

ANTONIO : (quasi supplichevole) Don Luigi, vi ripeto, la mia vita dipende da queste carte, aiutatemi!

DON LUIGI : (persuasivo) Ma iu, figghiu iu, chi ti pozzu fari? Tu mi devi capiri! Hai ‘a testa dura! Iu nun pozzu fari ‘sti cosi, è contro quello che dice la chiesa, la mia coscienza di prete me lo vieta, non si può fare… e basta!! (deciso) E’ come benedire le macchinette mangiasoldi che portano alla perdizione delle persone, o benedire la pistola di un assassino…

ANTONIO : Don Luigi, ogni anno il 20 settembre, dall’America arriva Tony Lamonaca….

DON LUIGI : Ancora ccù ‘sta monaca…

ANTONIO : La-mo-na-ca…’u patri di Mariu, ddù picciottu d’antura! (don Luigi annuisce) ‘U patruni di ‘stu palazzu.

DON LUIGI : Ah, ‘u canusciu, un galantuomo. ( Antonio è risentito)

ANTONIO : Ah, ‘u canusciti? E pirchì è ‘ngalantuomu?

DON LUIGI : Pirchì tri anni fa mi fici una bella donazioni di deci miliuna ppò tettu dà canonica…Iu aveva cinq’anni ca faceva ‘a culletta, ‘i parrucchiani sunu di una tirchieria incredibili, poi vinni iddu e abbiamo risolto il problema. Ma cchi c’entra ccò fattu del 20 settembre…? (Antonio si sta riprendendo dalla notizia)

ANTONIO : Don Luigi, devo fare una precisazione. L’americano, quando comprò in questo palazzo nel ’58, il 20 settembre, mi dettò una condizione, lui sarebbe venuto ogni anno a quella data e ci avrebbe permesso di poterci abitare senza pagare l’affitto, alla mia famiglia, alla signorina Miriam e alla famiglia di mè cumpari Alfiu De Caro, ma solo nel caso in cui io avessi vinto una partita a scopa. In caso di mia sconfitta, avremmo dovuto pagare l’anno in corso e gli anni precedenti. Da qualche mese si aggiunta alla comitiva anche una ragazza, pare una protetta del vostro benefattore, una certa Daniela Cannata. Sangu di la marina, ‘u capiti pirchì ogni annu, il 20 settembre, è un incubo.

DON LUIGI : Certu ca è una cosa strana, un capriccio. Un capriccio terribile!

ANTONIO : Bravo, proprio così, una cosa terribile. Ora capiti pirchì ‘i carti sunu l’elementu determinanti della vicenda…

DON LUIGI : E no, Ninuzzu, nun diri fissarii. E’ ‘u Signuruzzu che pone le condizioni e il destino che dobbiamo compiere, questa è la verità. ‘I carti sunu il mezzo, con cui si compie il destino. Iu pozzu faru sulu ‘na cosa…

ANTONIO : Parrati, parrucu. (in ansia)

DON LUIGI : Iu pozzu sulu pregari in nome di Dio e basta!!

ANTONIO : Ca vincimu ‘e carti?

DON LUIGI : ‘Nca quali. Io posso pregare che possiate realizzare i vostri desideri, nella pace del Signore e con la Sua grazia incommensurabile…

ANTONIO : Ca poi è sempri ‘a stissa cosa, giustu? Siti birbanti! (con le carte a ventaglio gli accarezza la gobbetta a sua insaputa) Bravu, accussì mi piaciti. Bravo…voi siete bravo. Oggi vi fazzu ‘mpranzu cchè fiocchi.

MARA : Ca poi sugnu iu ca ‘u fazzu, don Luigi.

DON LUIGI : Dar da bere agli assetati e da mangiare agli affamati, cosi dicono le sacre scritture…

MARA : Vui siti assitatu e affamatu… Nun siti unu normali…

DON LUIGI : Certu, puru l’animali, armaleddi. Appoi iddi fannu manciari a nuatri, è la natura, chi ci putemu fari. Mors tua, vita mea.

MARA : Quannu nun ci cummeni nun senti.

DON LUIGI : Mi raccomando una sola cosa, che ci sia riservatezza, discrezione, senza fari baccanu dell’evento. ‘A genti chi ppò pinsari? Don Luigi si nn’iu ‘a pregari ppì fari vinciri ‘e carti a Ninuzzu Quartara…e no, scusate! Riservatezza e discrezione. (in questo preciso momento entrano Alfio e Rosa, la moglie ha in mano un pacco di sale e lo cosparge in giro…Alfio ha la bandiera italiana, una treccia di aglio e una di peperoncino piccante rosso, un fischietto, e una tromba da stadio, tutti rimangono di stucco) E menu mali da dissi riservatezza e discrezione.

ALFIO : Oggi, o si fa l’Italia o si mori! Cumpari, purtai un pocu di sasizza, pinsai di manciari ccu vui, ppì darivi cunfortu. Vi basta? (da una borsa di plastica prende un mezzo metro scarso di salsiccia)

ANTONIO : Don Luigi, vi basta? (pietosamente)

DON LUIGI : Se propriu ‘nsisti, a mia mi basta.

ANTONIO : ‘Mpari, ci basta, semu appostu.

DON LUIGI : Ccattasti ‘u mustu? Nun mi diri ca manca ‘u vinu?

ANTONIO : (confuso e distrutto) Se nun moru oggi, campu cent’anni. (velocemente cala la tela sulle note di una spiritosa musichetta)

FINE DEL PRIMO TEMPO

Secondo Atto

SECONDO TEMPO

Qualche ora dopo pranzo, dello stesso giorno.

La scena è vuota, subito all’apertura del sipario entrano dalla comune Miriam e Alfonso Basile, sono abbastanza in confidenza, timidamente chiedono permesso, entra dalla destra Mara, alla loro vista è piacevolmente meravigliata.

************************

MARA : Oh, che bella sorpresa! Ma prego, accomodatevi.

MIRIAM : Signora Mara, ci presento mio cognato Alfonso…

BASILE : Ci conosciamo…ci conosciamo, come sta signora?

MARA : Insomma, mè maritu si fici pisanti, ma no di pisu, di testa.

BASILE : Non gli è passata l’emicrania?

MARA : No, chissa ci passau, grazie a lei, è proprio il suo temperamento, la sua mentalità. Nun ci po’ fari nenti. Poi c’è ‘u fattu d’a partita e quindi…Finalmente vi siete incontrati, ragioniere, vostra moglie, buonanima, sarà contenta, da lassù.

BASILE : Penso proprio di si, è vero, Miriam?

MIRIAM : Lo penso anch’io. Oggi è stato il giorno più bello della mia vita. Incontrare il marito della mia cara sorella…non l’avrei mai pensato! (entrano Daniela e Carlo) Daniela carissima, ti presento mio cognato Alfonso. (stretta di mano) E questo è l’avvocato De Caro, il figlio della mia amica Rosa, abitano al secondo piano. (c.s.)

CARLO : Piacere.

MARA : Ma accomodatevi, prego. ( si siedono tutti, vi porto qualcosa )

DANIELA : Io è da qualche mese che sono qua, grazie al signor Lamonaca. Ma la signorina Miriam è la veterana del palazzo, è vero?

MIRIAM : Già. E pensare che ci siamo incontrate diverse volte, ma mai ci siamo fermate a parlare, questa vita frenetica. E poi per non passare per indiscreta. Corri…corri, sempre correre. Certe volte rimpiango il famoso “curtigghiu” dove si sapeva tutto di tutti e, che certamente, non era il massimo della riservatezza. Ma ci si conosceva tutti, e se si aveva bisogno di aiuto, tutti erano pronti a dare una mano. Ora, puoi vivere 30 anni nello stesso pianerottolo e a malapena “buon giorno e buonasera”. Era meglio prima o adesso? Non lo so.

CARLO : Beh, se permette, signorina, forse è meglio una via di mezzo.

DANIELA : Cioè?

CARLO : Insomma, si dovrebbe cercare di essere più comunicativi, più disponibili all’approccio amichevole, allo stare con gli altri. Io posso capire i problemi che tutti abbiamo, nel lavoro, nella vita, nella famiglia, ma dovremmo ritagliare un piccolo angolino per noi, con i nostri amici, con i condomini, ecc.ecc. Io per esempio, esco dallo studio, e non frequento più i miei colleghi.

BASILE : Bravo, proprio così. In banca, dove lavoravo, è stato così per 35 anni…non eravamo amici, eravamo solo colleghi. ( entra Mara con dei bicchieri di limonata fresca)

MARA : Avanti, vi purtai una bella limonata fresca, fatta cchè limuni di mè cumpari Alfiu, ‘u patri di Carlo.

CARLO : Parrina, si finerru. L’ultimi ‘i detti ‘o patri parrucu, dici ca ci piciunu assai.

MARA : E tu dimmi cchi è ca nun ci piaci. Addummannici a tò patri, oggi a pranzu cchi cosa è ca nun si manciau. Tuttu. E’ una specie di frullatore, ma unni ‘u minta? Appoi ci calau ‘u sonnu e Antoniu ‘u ccumpagnau ‘a casa.

CARLO : Ma veni ppà partita?

MARA : Veni…veni…Antoniu ci ù fici ‘i pattu.

DANIELA : Signorina Miriam, le posso fare una domanda? Ne approfitto visto che siamo qua, insieme, a parlare simpaticamente!

MIRIAM : Ma certo, Daniela, dimmi pure!

DANIELA : So che lei era amica di mia madre, e che sicuramente avrà avuto qualche sua confidenza, qualche indiscrezione sull’uomo che aveva amato…Ho saputo che faceva la cameriera nell’albergo che vi era in questo palazzo, prima che fallisse. Lei mi può dire qualcosa in più?

MIRIAM : ( alla parola “cameriera”, sulla sua bocca nasce un leggero sorriso verso Daniela, non volendo sconfessare quello che aveva saputo sulla madre e poi mentendo… ) Si, faceva la cameriera, come me. Era molto brava, la migliore. Tutti i clienti volevano lei. ( Basile la guarda con tenerezza e le stringe una mano )

DANIELA : E di mio padre, ossia, del suo uomo, sà qualcosa?

MIRIAM : Purtroppo devo dirti che a causa dei turni di lavoro, non ho mai visto quell’uomo, anche perché lui veniva a trovarla poche volte in orari molto scomodi, quindi…mi dispiace. Ma, scusami, il signor Lamonaca, il tuo precettore, che, tra l’altro era un suo collega e amico, non ti ha mai detto niente di quell’uomo?

DANIELA : No. Una volta glielo dissi, mi rispose che era morto a Boston, dove abitava. Gli dissi che avrei voluto mettere un fiore nella sua tomba…Mi rispose in malo modo. Mi disse che non si meritava quel gesto di pietà, perché lui non ne aveva avuta per me. Dopo quelle parole, riflettei, e pensai che forse aveva ragione. Mi disse di non pensarci più. Zio Tony è fatto così.

MIRIAM : Zio Tony?

DANIELA : Si, il signor Lamonaca. Mi ha detto di chiamarlo così!

CARLO : Daniela, vieni, che ti faccio vedere delle foto del vecchio albergo.

MARA : Carluzzu, a Daniela ‘a lassari stari in paci.

DANIELA : Ma no, signora Mara. Mi fa piacere stare con Carlo, è simpatico..mi fa ridere…

MARA : Ah, se ti fa ridiri! Fai pure. Ti avviso, però: cui ti fa ridiri ti fa chianciri, anche se Carlo è un bravo ragazzo…

CARLO : (tirando Daniela per mano) Andiamo, non darle retta. ( via quasi di corsa dalla comune )

BASILE : Fanno proprio una bella coppia. Miriam, che dici andiamo?

MIARIAM : Abbiamo ancora tanto da dirci, è vero Alfonso? (i due si guardano teneramente) E poi ti devo far vedere alcune cose.

BASILE : Si, proprio così. Con permesso, a più tardi. ( via per la comune)

MARA : Prego…prego, fate pure. (poi da sola) Puzza di bruciatu c’è, gatta ci cova! E va beni, megghiu accussì. (entra Antonio, stanco morto, sudato, si accascia alla poltrona) Antoniu, ‘stu palazzu ‘sta divintannu…una casa…

ANTONIO : …d’appuntamento? Attorna?

MARA : Ma no! Una casa per cuori solitari.

ANTONIO : Ah, menu mali! Ma pirchì, che cosa successi? Ahù, nun mi pozzu alluntanari un attimu.

MARA : ‘A signurina si ricanusciu ccò ragiuneri Basili, iddu cci strinceva ‘a manu mentri ca idda, a signurina…signurina ppì modu di diri, insomma, mentri da idda stava cuntannu ‘na cosa. Appoi ‘u ragiuneri a un certu puntu ci dissi a idda di andare via…e idda ci rispusi (cambiando la voce) “Si, Alfonso, andiamo, che abbiamo tante cose da dirci e poi devo farti vedere delle cose”. Appoi si taliarru comu dui innamorati e si nni eru. E nun nn’ha finutu!

ANTONIO : Ancora ci nnè?

MARA : T’a figghiozzu Carlu mi pari ca sta strincennu ccu Daniela, ‘a niputi di Lamonaca…, ‘a niputi…(sminuendo la parentela) chissa ddocu ca ‘u chiama ziu. Iddu dici ca ‘a fa ridiri, è simpaticu…s’a purtau ddà ‘ssupra ppi faricci vidiri alcune foto di quannu c’era ‘a bbergu! Chi ni pensi…?

ANTONIO : Cc’haiu ‘a diri. Ccà tutti ca strinciunu, sulu nuatri mi pari ca st’amu allargannu…mha!

MARA : Ma chi dici, schunchiurutu? Tu si, ca ogni vota ca arriva ‘stu mumentu di ‘stu schifìu di partita, addiventi comu un ciferu infernali…e mi indisponi…eccu e di conseguenza iu mi rinchiudo…’nta….

ANTONIO : …‘ncummentu di clausura! Ddocu ‘a stari, ‘nclausura, ca ti passunu l’indisposizioni…

MARA : Ma quantu si scemunitu.

ANTONIO : Dimmi ‘na cosa, chiuttostu. Nun s’ha ‘ntisu nuddu? Lamonaca quannu dissi ca vineva?

MARA : Sempri ‘o stissu orariu, ‘e sei!

ANTONIO : Picca ci manca. Malarittu. (guardando l’orologio) Ah, senti, ha propositu di strincimentu, mi pari ca tò figghia è troppu stritta ccu chissu…comu si chiama, ‘u figghiu di Lamonaca…

MARA : Mariu?

ANTONIO : Si…si, propriu iddu. Quannu ‘a cercu nun c’è mai, unnè? Ccù Mariu! Niscìu…ccu cui? Ccù Mariu. (falsando la voce) “Mamma, oggi Mariu mancia ccu nuatri.” Iu nun cuntu. Il permesso è cosa tua. Iu cuntu sulu il 20 settembre di ogni annu, tuttu il resto, ZERO, zero tagghiatu. Appoi ti vogghiu diri, chista unni travagghia, iu nun nn’u sacciu? Se ‘a matina è sempri ccu chissu, chista quannu ci và a travagghiari? Parra, ca mi pari ‘na timpa ‘i sali, brutta cosa laria.

MARA : A parti ‘u fattu ca avissutu a vasari ‘nterra e diri milli Avi Maria e milli Patri Nostru di ringraziamentu se ssù beddu picciottu avissi ‘ntenzioni seri ccù mè figghia…

ANTONIO : Ccù tò figghia? E pirchì, patri nun nn’ha, è figghia di NN senza patri?

MARA : ‘Nca leviti, scunchiurutu, NN senza patri. Purtroppu nun nn’u pozzu diri, è la tua copia fotocopiata. Almenu ddocu arrisultau tò figghia, menu mali ca ppi testa pigghiau di mia. Dunchi, chi vulevi sapiri, zoticu e sarvaggiu? Ah, ci sugnu. Unni travagghia! Beni, se ‘u vuoi sapiri, senza ca fai succediri ‘a terza guerra mondiali tu dicu, però ti premettu ca se ‘ncuminci a diri minchiunarii o a fari catuniu, mi fazzu ‘a valigi e ti lassu…

ANTONIO : Cosa ‘i tri liri, unni ti nni vai, dalla mamma Carmela, ca era cchiù tisa do tuppu c’aveva, e a tò patri ‘u fici moriri di crepacori e se oggi campa è sulu pirchì ci passi quattru sordi o misi, sordi miei, ricordati. Vai da lei? Pirchì se nesci di ccà, nun ti fazzu trasiri cchiù. Ricordati, abbandono del talamo nuziale e del tetto coniugale. C’è puru l’arrestu.

MARA : ‘Staiu trimannu tutta ppò scantu, matri mia. Comu fazzu? (canticchiando) Comu fazzu…comu fazzu m’accidu m’ammazzu, mè maritu è sciutu pazzu. (ripete)

ANTONIO : Tu scherzicci, appoi ti fazzu vidiri iu? Disgraziata, attorna ‘a testa mi fa mali…Hai un potere malefico unicu e sulu. Se ci fussi ‘u ragiuneri Basili, m’a facissi passari iddu.

MARA : Ccà ha statu.

ANTONIO : E unni si nni iu?

MARA : ‘Nta so’ cammara.

ANTONIO : Ma quali cammara? Iddu cchi avi cammara!

MARA : Ma ‘nta chidda di so cugnata, no!

ANTONIO : Certu, nun c’hannu a perdiri mancu tempu. L’età ci l’hannu, ponnu pinsari puru di spusarisi…megghiu ccussì. Iu puru m’a spusassi…se putissi.

MARA : (ironica) Facci di basulatu, s’a spusassi! Quantu ti pigghiu ‘i gocci, và. (via a sinistra)

ANTONIO : Senza sbagghiari e ci minti ‘u vilenu ppè surci! (telefono, Antonio prende la cornetta) Pronto, casa Quartara…chi parla?

VOCE : ( dall’accento siculo-americano ) Io cercavo la famiglia Bottiglione…

ANTONIO : Senti, cosa fitusa, vidi ca ora mi stai stancannu…Fatti vidiri di presenza e se hai cosi di dirimi mi dici ‘nta facci. Chista è ‘a casa onorata della famiglia Quartara…Ma iu ‘u sacciu cu si…

VOCE : Ah si? Allora sei veggente, Antonio? Allora mi leggi le carte? Ma no quelle delle cartomanti, le carte della scopa…Sei bravo, ma quest’anno ti batto. Ok?

ANTONIO : Ah, ci sugnu. ‘I carti, ‘a scupa…ok! Ho capito! Siete quello…stro…, insomma…il signor Lamonaca….Me lo dovevo immaginare. Vi pigliate gioco di me anche al telefono. Ma quest’anno dobbiamo chiarire tutto, sono stufo della vostra prepotenza.

TONY : Dai, Antonio, non fari accussì…Io scherzo sempre, tu ‘u sai…Fammi truvari un bell’amaro siciliano, e quattro biscottini di mandorla, ‘u sai ca mi piaciunu assai. Ok?

ANTONIO : Al cianuro, si..si…state tranquillo, vi sistemo ppè festi. Scusati, ma unni siti?

TONY : Siamo partiti dall’aeoroporto. Allenati, intanto! Ok? (chiude, Antonio attacca, poi entrano i coniugi De Caro)

ROSA : (molto inquieta) Unn’è ‘a cummari?

ANTONIO : Sta vinennu. Ma pirchì, chi c’è? Scappau focu? Cumpari chi successi?

ALFIO : Iu nun vitti nenti, idda ddocu, dici ca vitti ‘a signurina Miriam ccù ‘cristianu…Chi c’è di mali?

ROSA : Ma quantu si bestia! Una signorina, ca si trasa intra, mano nella mano ‘a omu, tu mi dici, “Chi c’è di mali?”

ANTONIO : Ah, ‘u ragiuneri Basili! Vuatri nun sapiti nenti, giustamente. (entra Mara con un bicchiere in mano) Ccà c’è la vice portiera…

MARA : Senza ca ti siddi, anche io sono la portiera, tua parigrado…

ANTONIO : Tu nun si mancu raccattapalli. Sei mantenuta da me, tu e tò figghia, chidda can un sacciu unni travagghia. Appoi ‘sta cosa la chiariamo. Oggi o si fa l’Italia o si muore, veru cumpari?

ALFIO : Si…si… ca-ca…si capisci cumpari. Oggi ci sunamu ‘nte co-co…’nte corna ‘o miricanu.

ANTONIO : (alla moglie) ‘U vuoi sapiri cu era chiddu delle telefonati misteriosi, ca ora mi dissi se era famiglia Bottiglione? ( indifferenza della moglie) Sempri iddu, l’infame di Lamonaca. Antura mi chiamau dall’aeoroporto, ‘u curnutu. Dici ca stà vinennu e voli l’amaru sicilianu e quattru viscuttedda di mandorla. Priparaccilli, ‘o picciriddu!

MARA : E chi c’è di mali. C’avissumu a vasari i pedi. In questi anni non abbiamo pagato una lira d’affitto.

ANTONIO : (su tutte le furie) Comu…comu…

MARA : Vicinu Milanu! ‘I piedi ci ha vasari…

ANTONIO : A mia ‘a vasari ‘i pedi, no a iddu. A mia! Prima mi lavi, appoi mi vasi e ccù l’acqua ti ci fai ‘i gargarismi. Ingrata e moglie disanorata! (si alza esce a sinistra)

ROSA : Cumpari, ‘nca finitala. ‘A cummari è ‘na santa, speci pirchì cummatti ccù vui. Pigghiativi ‘i gocci, ddocu, e stativi mutu. (prende il bichiere e beve)

MARA : Nun ci fati casu, ci sugnu abituata.

ROSA : Chiuttosto, antura vitti ‘a signurina Miriam ca si traseva ‘nta ‘ppartanentu ‘ncristianu, mano nella mano…

MARA : Cummari, chissu era so’ cugnatu, ‘u maritu vedovo di so soru ‘a gemella, stamatina vinni. V’u scurdastuvu? Chiddu vistutu ‘i nivuru!

ROSA : Veru, veru…ragiuni aviti. Matri, nun nn’haiu cchiù testa, mi dovete scusare.

ALFIO : Ma ‘u parrucu, qu-qu…quannu veni? Nun cridu ca su scorda?

MARA : Antoniu ‘u ‘ccumpagnau ‘a casa. Doppu tuttu chiddu ca si manciau. Cumpari, mi pari ca vui c’eruvu a latu ‘nta tavula. Chi lassau cosi?

ALFIO : Ma-ma…mancu ‘na muddica, cummari. ‘U piattu ‘u lassau cchiù pulitu ‘i prima. E ‘u vi-vi ‘u vinu ca si vippi?

MARA : E siccumu mancu tineva ‘a dritta, Antoniu ‘u vosi accumpagnari ‘a casa. Carluzzu mi dissi ca u v’a pigghia iddu versu ‘e cinqu. (entrano dalla comune Lisa e Mario)

MARIO : Buongiorno a tutti!

MARA : (a Lisa) Tu comu stai? (preoccupata)

LISA : Bene!

ROSA : Cchi avi Lisuzza? (curiosa)

MARA : Lisa, c’è tò patri ca è sul piede di guerra di quannu sappi ca ti canusci ccù Mariu, voli sapiri tuttu…

MARIO : Io sono pronto a spiegare quello che c’è da spiegare e ad assumermi le mie responsabilità. Lui dov’è?

MARA : Ora veni, è ddà intra. (entra Antonio, ha in testa un fazzoletto rosso con sopra un basco bleu, sembra un sultano arabo) Ma comu ti cumminasti? (sorridendo come pure Rosa e Alfio) Pari ‘u Scià dà Persia. Ridiculu!

ALFIO : ‘Nveci a mia mi piaciti, cu-cu…cumpari. ‘U Miricano appena vi vidi, vi scancia ppò Re ‘Nturcu e si scanta! Oh, ‘stu mè cu-cu…mè cumpari quantu nni spurmenta!

ANTONIO : ‘A testa la devo rinfrescare, cumpari. Tuttu ‘u mali ci l’haiu ‘nta testa! Haiu ‘nfurnu elettricu addumatu, cumpari! Se ci mintiti ‘na manu, v’abbruciati! ‘U fazzulettu avi tutta ‘a notti ca è ‘nto frigoriferu, l’ho scelto rosso contra ‘a malasorti, di supra ci misi ‘a scuzzitta e sugnu a postu. Appena veni ‘u ragiuneri Basilicò…

MARA : Si, cipudda e petrusinu…

ANTONIO : Comu cazzalora si chiama…? Ah, Basile. Appena veni mi fazzu fari ‘a seduta di chiddi fa iddu e mi guarisci. Appoi sunu cosi ca ‘a tia moglie ingrata, mantenuta e vice portiera e a voi cumpari, non interessano. Iu mi pozzu mettiri chiddu ca vogghiu, comu vogghiu e quannu vogghiu, sugnu a mè casa, va beni?

MARA : Ancora per poco!!

ANTONIO : ‘Nfatti tu sei la malasorti e ‘a pivala di ‘sta casa. Cumpari, mi raccumannu l‘attrezzatura vostra, agghi, pipalori, cornetti…eccetra. Ma unni ‘a lassastuvu?

ALFIO : Eh, unni ‘a lassastuvu. Bona è sarvata, quannu è ura ‘a nesciu, ‘nta vostra cucina è!

ANTONIO : Beni!. Vui commari Rosa ‘u sali ci l’aviti?

ROSA : ‘Nca certu, cumpari, ‘u sali c’è, ancora chiddu di l’annu scursu è.

ANTONIO : Beni, tutto Okkei, comu dici ddù gran curnutu di Lamonaca. (che non si era accorto dei due ragazzi)

MARIO : Buongiorno, signor Quartara. (timidamente)

LISA : Ciao, papà. (c.s.)

ANTONIO : Eccoci qua. Alla guerra. (cercando di auto controllarsi) Dunchi.

MARA : Dunchi…è il principio del discorso…(ironica) (Alfio e Rosa si alzano e vanno in cucina…col permesso di Mara)

ANTONIO : Dunchi…dunchi e centomila volte dunchi. Giovanotto, da quando sei arrivato, a me figghia nun ‘a vitti cchiù. Siete un’anima e u corpo. Unni si tu è idda, manci ccà…

MARA e LISA : Antoniu…papà…

ANTONIO : Mute! Lassatimi parrari. (breve pausa) Iu ‘u sacciu ca ‘nta ‘sta casa non ho mai contato chiassai do dui di spadi quannu ‘a briscola è a coppi, ma l’haiu fattu ppì stari ‘npaci, tranquillu, ppì nun nn’aviri grattacapi. Insomma, nun m’haiu miscatu mai in niente.

MARIO : Don Antonio, io vi devo spiegare alcune cose…

ANTONIO : Ti prego, appoi parri. ‘U sacciu ca si ‘nu bonu picciottu, è tò patri ca ti guastau ‘u sangu… Dunchi. Iu vogghiu beni ‘a mè fighia chiassai dà mè vita, ‘nta l’elenco ci mintu a mè mugghieri in seconda posizione, anche se nun s’u merita, e pensu ca tu ‘u capisci, Mariu. E comu ogni patri ca voli beni ‘a figghia, ci veni l’armu di vulirici parrari, ‘na carizza, ‘na semplici parola..”Travagghi? Unni Travagghi? Si zita?” Piccole cose, parrari, comu fannu ‘i pirsuni civili. Invece, niente! Silenzio di tomba. “Ciao papà…” Mancu fazzu ‘ntempu a diricci “Ma unni….” È già fora! Appoi ritorna e ci vulissi diri “ Oggi cc’ha fattu? “ idda mi rispunni “Papà sugnu stanca, mi curcu, buonanotte” E si curca! Me mugghieri sugnu sicuru ca sa qualchi cosa, ma nun mi dici nenti, per quel fatto del due di spade…Ora tu si ‘npicciottu ca pacisci, iu c’avissi ‘a pinsari? Matri e figghia hanno fatto la santa allenza e a mia non mi calcolano ppì nenti. M’affucu o mi sparu. Appoi mintimicci lo stress ccù tò patri e la frittata è pronta. Parrati, ho detto. ( si siede sulla poltrona più rilassato)

MARA : Antonio…(remissiva e pacifica)

LISA : No, mamma, tocca a mia parrari!

MARIO : Lisa, però anche io vorrei dire qualcosa.

LISA : Si, dopo. Prima fammi parlare. Papà, io ti dovevo confidare che lavoro da quasi un anno, con un contratto a tempo indeterminato, sono serena, tranquilla, dove lavoro è un bel posto, belle persone e anche il titolare di questa società è una persona a cui io…(guardando Mario e la madre, con un po’ di soggezione) questa persona…insomma…

MARIO : (prendendo la parola con decisione) Don Antonio, io ho aperto una grossa agenzia immobiliare in città, visto che rimango in Sicilia per quasi dieci mesi l’anno e ho tanti interessi economici e soprattutto numerosi immobili, in città e nella regione, e visto che mi serviva il personale e un direttore dell’agenzia, ho deciso, con l’avallo di mio padre, di assumere Lisa. Ma oltre a quello che vi ho detto e che era doveroso dirvi, io amo vostra figlia più di ogni altra cosa al mondo, e vi chiedo perdono se vi abbiamo tenuto nascosto questo segreto, però vi confesso che ve lo avremmo svelato questa sera. Vi chiedo la mano di vostra figlia, a voi e a vostra moglie.

ANTONIO : (frastornato) Veramenti tocca sulu ‘a mia. Comunchi. Ma…pirchì nun mi dicisti nenti, Lisa? Cosa ti potevo dire, si granni, maggiorenni, una picciotta ca sa’ chiddu ca fa e quindi…Se Mariu deve essere il tuo principe azzurro che sia…il tuo principe azzurro. Ma dimmi ‘na cosa, (in confidenza, tirandola a se) , tua madre, chissa ddocu ‘o cantu ‘i tia, ( la indica alla figlia che accenna ad un lieve sorriso) sapeva qualchi cosa, è veru?

LISA : (Guardando la madre) Bè, insomma, qualchi cosa…sì, pirchì ci nnè ancora…papà, tieniti forte….( con solennità)

ANTONIO : Matri Santa, nun mi fari scantari? Chi c’è ancora?

MARA : Nun ti scantari, babbasunazzu. Cosi ca passunu e fannu beni alla salute. E’ veru, Lisuzza?

LISA : Non solo alla salute, ma anche al cuore. Papà, fra qualche mese sarai nonno!

ANTONIO : Comu…comu…nonnu? Voli diri ca tu aspetti…’npicciriddu e di cui?

LISA : Ma comu, di cui?

ANTONIO : Ah, il principe azzurro. (abbraccia i due ragazzi) E se masculu, comu ci mintiti? Sintemu…!

LISA : Masculu è, papà. E ci mintimu Antoniu, ti piaci, papà.

ANTONIO : Certu, accussì Lamonaca ci trasi puru ‘nto nomu. Ma quantu è furtunatu. (risata generale) Ma ccù iddu nun nn’haiu finutu. Mi aspetta una dura battaglia. (toccandosi la testa) Attorna ‘a testa mi partìu. ( entra Basile e Miriam che ha in mano una bottiglia di spumante )

LISA : Noi andiamo di là, Mario deve telefonare. (i due via a sinistra) Ciao a tutti, buona sera signorina Miriam. (scompaiono a sin.)

MIRIAM : Che bella coppia! Potrebbero pensare di accasarsi, ma forse parlo troppo….

ANTONIO : (annuendo) Allura pirchì mi doli ‘a testa, ragiuneri. M’a faciti un’altra impostazione con le mani…?

MARA : Si, impostazione postale…Raccomandata con ricevuta di ritorno. Ma quantu si ignoranti. Si dici imposizioni….

BASILE : E si capisci! Ma non vi era passata?

ANTONIO : Si, come no, ma sono successe cose..cose…che voi manco v’immaginate..Amuninni dd’a intra…ca facemu prima. (lo tira con lamano e lo porta a sinistra)

MIRIAM : Mi sono permessa di portare una bottiglia di spumante per festeggiare i 30anni dell’evento.

ROSA : Sempri fina, ha statu, Miriam.

ALFIO : Fina, se-se…sempri ha statu!

MARA : Ma signurina, non doveva disturbarsi.

MIRIAM : Non è niente per don Antonio e per voi, signora Mara. Siete due persone squisite. (parlotta con Rosa e Mara)

ALFIO : Squisiti, zuccarini…comu ‘o me-me…comu ‘o meli! (entrano il prete accompagnato da Carlo e Daniela)

DON LUIGI : Avanti, semo nuovamenti ccà. Paremu accampati, avi ‘ngnornu ca simu ccà. Arrivau ‘u ziu? (a Daniela)

ANTONIO : ‘U ziu di cui?

DON LUIGI : Unni fui?

ANTONIO : E iu chi nni sacciu? Iu vi dissi, ‘u ziu di cui?

DANIELA : Mio zio Tony. Io lo chiamo così, è stato lui a volerlo.

CARLO : Patri parrucu, voli qualchi cosa?

DON LUIGI : Vulissi 30 anni mancanti, e ‘sti dulura ca haiu ‘i vulissi dari ‘a qualchi amicu ca si lamenta ppì nenti…Infatti si dici..”Cui si lamenta godi!” Carluzzu vai pure. ‘U rosari ci l’ haiu, ‘u libbricieddu ccà parola di Diu è ccà…cchi purissi vuliri di cchiù? Vattinni…và! (Carlo e Daniela vanno via dalla comune)

MARA : Digeristuvu, don Luigi?

DON LUIGI : Se digerii? E cchi manciai, Maruzza? Mi pozzu fari ‘a comunioni.

MARA : Matri, cchi facci di ‘ntagghiu! Nenti manciau, ‘u sintistuvu? (proprio in questo momento entra Tony Lamonaca, abito bianco, cappello di canapa bianco, scarpe nere e un grosso sigaro, che ogni tanto aspira, con qualche colpo di tosse, a soggetto, una valigetta scura, tutti alla sua vista si alzano e gli danno la mano, solo il parroco rimane seduto e Tony gli bacia la mano…) Signor Lamonaca, prego s’accomodassi…Ci priparai ‘i biscottini ca ci piaciu a lei…

TONY : (con l’accento siculo-americano) Lei è sempre gentile, signora Mara, al contrario di certe persone…che conosciamo benissimo. Ma lasciamo stare. Come và? Tutto bene? La figliola? E lei signorina Miriam, come sta?

MIRIAM : Bene, grazie. Ho conosciuto stamattina il marito di mia sorella, buonanima…Sono contenta…

TONY : Bene…mi fa piacere. Il suo passato riaffiora nei ricordi più belli, e questo è un bene, yes. Ok! E lei, signora Rosa, come và? E il sig. Alfio De Caro, cosa dite? Vostro figlio sta bene?

ROSA : Bene, tutto bene. Mè maritu è ccà…mischinu, Carluzzu è supra ccù so niputi, ora scinnunu, se vuliti ‘i v’a chiamu?

ALFIO : Signor Tony, ‘a Merica chi si dici?

TONY : Sempri ddà è. Nun si movi. Ma ‘i cosi nun sunu comu ‘na vota. ‘A vita difficili è, caro Alfio. Vui siti furtunati ca siti ccà, nella nostra terra natìa, ‘a Sicilia nostra. Bedda è profumata…

DON LUIGI : Ppà limunata ci voli donna Mara….

TONY : (apre la valigetta e esce fuori un filo con auricolare) Don Luigi, col vostro permesso ci portai un apparecchio acustico…

DON LUIGI : E cchi servi?

TONY : Se è acustico, servi ppà ‘ntisa!

DON LUIGI : Ppà ‘ntisa? E unni m’haiu ‘a mintiri?

TONY : Se vi manca ‘a ‘ntisa v’u mintiti ‘nt’aricchi. ( Don Luigi lo prende e lo conserva con cura)

DON LUIGI : Grazi.

TONY : E il capo famiglia, don Antonio Quartara, unn’è. Chiffà ha dimenticato quello che dobbiamo fare? Io ho tanti impegni. Ok! (entra dalla sinistra Antonio, sempre con quella specie di copricapo, seguito da Basile che porge la mano a Tony)

BASILE : Piacere, Basile!

MIARIAM : E’ mio cognato, signor Tony!

TONY : Piacere, vostra cognata è una gran donna, signor Basile. Oggi non ce n’è più, hanno perso lo stampo, credetemi. E finalmente abbiamo il signor Antonio Quartara…

ANTONIO : (non molto felice di incontrarlo, scortese) Ora staiu peggiu, prima di vidiri ‘a certuni stava megghiu! Non ho dimenticato quello che dobbiamo fare…non vi preoccupate.

TONY : Mi pariti un turcu…vi calarru ‘u suli…

ANTONIO : No, ‘a luna! Vui mi pariti chiddu dè gelati…vinniti pezzi duri?

TONY : (a mò di battuta) No, iu vinnu e affittu casi, e certi voti le regalo, yes, ma poi mi nni pentu! Vogliamo giocare o ci perdiamo in chiacchiere? Undstend? Capito? Mi sto stufando, ok?

MARA : (sottovoce, a Rosa) Ma quantu è cretinu, ‘u sta facennu siddiari! E ‘a porta ancora ‘o longu!

ALFIO : (a Rosa) Stanu ‘ncu-‘ncu… ‘ncuminciannu?

MARA : Si. (Alfio si alza e va in cucina, poi ritorna con addosso la collana di aglio, pipisbezzi, cornetti e il sale per la moglie che a soggetto e di nascosto incomincia a spargerlo per terra, Alfio si piazza dietro a Tony, come sempre per i segnali, Basile e Miriam si alzano e fanno per andare)

MIRIAM : Veniamo più tardi, Rosa. Faccio vedere a mio cognato il palazzo. Con permesso. (via per la comune)

ROSA : Vai…vai…Viniti ppò brindisi?

MARA : Ma a chiddi chi cci ‘nteressa di brindisi e di bari, signora Rosa?

ROSA : In effetti, hannu tanti cosi di dicirisi, mischini. Sugnu cuntenta ppi iddi….

MARA : Ora concentramini ppì ddù bestia di mè maritu. ‘U sali sutta ‘o tavulu…cummari, ( Rosa esegue indifferente) Don Luigi, attaccati cchè preghieri…

DON LUIGI : Ieri? E ccù s’u ricorda chiddu ca fici ieri?

MARA : Curnutu a vui e…(con la mano in bocca) ‘U rosariu…e i preghieri…mi capistuvu…

DON LUIGI : ‘U capì..’u capì, chi ti paru surdu? Nel primo mistero…(forte)

MARA : Cchi siti ‘a chiesa? Piano, sottovoce…va beni..?

DON LUIGI : Va beni…comu vuoi tu. (incomincia pian piano…le altre due rispondono sottovoce, è una specie lamentazione, una “murmuriata” incomprensibile, sempre con lo stesso tono, sono a distanza dal tavolo da gioco, Alfio si è posizionato dietro Tony, per i segnali)

TONY : Mi pare che c’è troppo nervosismo. Yes?

ANTONIO : Yessi…yessi…Sicuru! Vui siti ‘a causa, di cchi vi lamintati, chista è bella.

TONY : E poi questo continuo lamento, è impossibile giocare! Ok? You undestend…Capistuvu? Ok!

ANTONIO : Okkey ‘sti ciciri…ci-ci-ri…antistenti. Nuatri iucamu accussì, tutti ‘i voti, tutti ‘i siri, duranti le lunghe serate invernali, i fimmini si diciunu ‘u Rusariu e raccamunu, e l’omini iocunu, o chistu o pietre…pi-e-tre…sassi và, mazzacani…antistenti? (prende le sue carte) Ccàni essiri carte di scopa. Quasi nuovi, sunu di l’annu scursu, ma nessunu li ha toccati. Yessi! (occhiolino al prete che contraccambia)

TONY : No! (deciso) Impossibol! Impossibile. Le carte devono essere nuove di fabbrica.

ANTONIO : Chistu chi è un nuovo regolamento di Nuova Yorchi, quannu mai. Nun l’avimu mai fattu. O vuliti dubitari della mia onesta’,onesta, bruttu vecchiu vavusu…

TONY : Badati a come parrati, ok!

ANTONIO : Ma quali okkei okkei, vui m’anzurtati e iu nun haiu a diri nenti. Chiffà schirzamu? (entrano Mario e Lisa dalla sinistra)

MARIO : Papà, come stai? Ti devo parlare!

LISA : Signor Lamonaca, ha fatto buon viaggio?

TONY : Ragazzi miei.

ANTONIO : Un momento. Ragazzo mio. Lisa, fino a prova contraria è mè figghia e quindi è ragazza mia. Mintimu ‘i puntini sul grammofono. Oh!!!

TONY : Stavo bene prima venire qua, ma Antonio ha il potere di farmi inca…di farmi arrabbiare. Ora si è fissato che dobbiamo usare le carte dell’anno scorso, usate e chissà come saranno sciupate, per non dire altre cose. ( aspira una lunga boccata di fumo che gli indirizza in faccia e poi tosse)

ANTONIO : Avete sentito questo vecchio tubercoloso, mi accusa di aver truccato le carte…ma come ti permetti, pezzu di mafiusu…ppì ‘sti quattru sordi ca hai! ( si alzano dalle sedie e si parano come due galli in combattimento, le donne ed il prete smettono di dire il rosario )

TONY : ( si siede e poi con calma) Ti perdono, pirchì nun sai chiddu ca dici. La paura di perdere è troppo forte, ti capisciu, yes!

MARIO : Papà, mi pare il momento di smetterla con questa maledetta partita, che ne pensi.

TONY : Non preoccuparti, Mario. Ho trovato la giusta soluzione per tutto…(dal fondo arriva Daniela e Carlo)

DANIELA : Zio…zio mio. (va ad abbracciare Tony che gli scappa una parola…)

TONY : Figlia mia bedda. ( la abbraccia forte )

ROSA : (a Mara, sottovoce ) Cummari, ci scappau “figghia mia”. Ne vedremo della belle oggi.

TONY : Ti dicevo per tutto e …..per tutti, pure per la piccola Daniela. (poi rivolto a Carlo) Tu sei Carlo, immagino? (Carlo gli stringe la mano) Però la partita si deve fare lo stesso, per puro principio. E’ vero don Antonio?

ANTONIO : (che si era calmato) Si capisce, allura pirchì sugnu ccà, ppì taliari a vui?

LISA : Papà, se continui accussì, mi nni vaiu.

MARIO : Lisa, tuo padre non ha tutti i torti, devi capirlo.

ANTONIO : Iucamu ca è megghiu.

LISA : Daniela, dammi ‘na manu, pigghiamu ‘u spumanti, amuninni ‘nta cucina, ormai ‘sta partita mi ha stufata. Ragazzi voi venite con noi? ( le due con i due ragazzi via a sinistra)

ANTONIO : ( deciso e serio) Pigghiati ‘i carti ca vuliti vui.

TONY : Bene! (apre la valigetta e prende un mazzo ancora col cellofan, lo apre…mischia le carte e poi…) La mano chi la fa? Alzate! (Antonio alza e prende il sette bello, è contento) Tocca a voi.

ANTONIO : Scusate devo dire una cosa a don Luigi. (Tony acconsente, alzandosi, va verso don Luigi, apre le carte a ventaglio, e con la scusa di parlargli all’orecchio gli appoggia le carte sulla gobbetta…platealmente) Don Luigi, chisti su nuovi, mi devo tutelare. Mi dovete capire! Fati chiddu c’aviti ‘a fari. ( ritorna a sedere) Scusate. Sempri a unnici?

TONY : (ricomincia il rosario, Alfio è dietro Tony, pronto…Antonio mischia le carte, poi le da, e s’incomincia) Bene…bene…bene…

ANTONIO : Male…male…male…

TONY : E va bè. Tre e due cinque. (Alfio gli segnala chiaccia l’occhio destro)

ANTONIO : Quattru…

TONY : Bene..bene…quattru e tre sette e due nove, scopetta, yes? (Antonio rimane di stucco, come tutti gli altri, continuano a giocare e si sente…sempre… Cinque e due sette, scopetta col settebello, ok? ( beve un amaro e dolcino con calma, nervosismo di Antonio, poi la mano passa a Tony, mescola, alza Antonio, da le carte, poi…)

ANTONIO : Ahù, chi simu ‘o bar! O si vivi o si mancia o si ioca…E cchiè ‘stu schifu? Dunchi…(guardando le carte) Due e una tre. (guardando Alfio, arrabbiatissimo, che accenna a dei segnali, Tony poi lo guarda e Alfio rimane con la mano nella faccia per dire Donna, resta così per un attimo…Tony è perplesso)

ALFIO : (per giustificarsi…) Haiu ‘nduluri di ianchi…Chista, ha viditi….? Mi fa ‘mpazziri…( Antonio con la mano tra i denti come a dire, “disgraziato”, continuano a giocare, di queste scene si potrà fare quella del Re, gonfiando la bocca….e Tony che incomincia a capire qualcosa…) Staiu ìmpazzennu…e chistu è duluri…( poi alzandosi la spalla…per il cavallo; Tony lo guarda, lui si blocca e ….così via diverse gags a soggetto.) Haiu ‘stu ticchi, cchi è vietatu…?

TONY : Si mintissi vicinu ‘a so cumpari…ca è megghiu. (Alfio esegue) (contano le carte) Tre di scopette, settebello, primiera, oro e carte a lungo, quattru e tri setti…sette a zero. Mano mia. (Antonio e sgomento come tutti gli altri, Tony dà le carte)

ANTONIO : Bene….bene…Dui.

TONY : Cinqu.

ANTONIO : Ottu e una novi. Cavalluccio…scopetta. (Tony da le carte) Sei, mi calu!

TONY : Sei e due otto.

ANTONIO : Tre e dui cinqu e cinqu deci. Scopettina di Reuccio. (da le carte, urtato) Assu e dui, tri, e quattru setti. Scupittuna di setti bellu. Quantu mi piaci ‘stu iocu. E’ sinceru…sinceru!

TONY : Setti iu e quattru vui. Combattuta, ah? Ma per poco. Carte mie. ( beve l’amaro e mangia un dolcino con calma, grossa tirata di fumo, poi dà le carte)

ANTONIO : Male…male…Dunchi…(riflette, Alfio gli vorrrebbe suggerire e gli dà una gomitata) Stativi mutu,’a curpa vostra. (mortificazione di Alfio) Pigghiu, quattru e dui sei…

TONY : Sei, e tre novi e una deci. Scopettina di dieci.

ANTONIO : Furtuna e basta. Calu setti.

TONY : Scupa di setti bellu…Ci avissimu a essiri.

ANTONIO : Iucati, ca ancora c’è ogghiu ‘nta lampa. Cavaddu…

TONY : Scopettina di cavadduzzu tic tac. E sunnu undici. L’haiu a cuntari? ( silenzio generale, la sorte ha voltato le spalle ad Antonio, lui è esausto)

ANTONIO : (butta le carte) Basta, mi avete battuto. (alzando il tono a mano a mano) Mi avete battuto….mi avete battuto….Comu fazzu…comu fazzu….Staiu murennu…Maruzza cchi mi pigghia…?(piange diventa un pazzo, si toglie ‘a scuzzitta, il fazzoletto…si strappa i capelli, poi si accascia sulla poltrona come se avesse avuto un infarto…, urla, grida, tutti cercano di fare qualcosa, entrano i ragazzi dalla cucina lo spumante nei bicchieri, che appoggiano sul tavolino del salottino)

LISA : Ma cchi successi..’U papà chi avi?

MARA : Nenti, Lisuzza, un piccolo sintomu. Pigghiamicci un po’ d’acqua…’I gocci…’i gocci ppà sciolta…

ROSA : Ma cchi c’entrunu ‘i gocci ppà cacaredda…? Chiamamu ‘u spitali…

TONY : Lasciate stare…Ora ci parlo io…(all’orecchio) Antonio… Antonio, non ti devi preoccupare, la casa sarà sempre tua…non mi devi niente. Il nostro era un patto sulla parola, niente di più. Avanti…finiscila…nun fari ‘u commedianti…Ho i documenti, firmali e la casa sarà tua, come sarà dei nostri amici, Rosa, Miriam e Daniela. (Antonio si riprende istantaneamente)

ANTONIO : (senza scomporsi, col tono sereno e tranquillo, all’orecchio di Tony) Unni haiu a firmari? (tutti sono più tranquilli)

TONY : Ah, birbanti, sei guarito?

ANTONO : Ma quannu mai haiu statu malatu? ‘A finta fici. Tu mi dicisti che il nostro era un patto sulla parola e quindi…non mi potevi buttare fuori doppu trentanni. Appoi mi sarei appellato al diritto di usu….

ALFIO : ..usufruttu…

ANTONIO : …‘nca quali…usu…

ROSA : … ‘usaiddu…

MARA : …‘usapemu…

ALFIO : …usuraiu…usai….

ANTONIO : … ca sì bestia…

CARLO : Usucapione!

ANTONIO : Bravo, chi ‘ffa fari aviri ‘nfigghiozzu avvocato…Usucapione…(avvicinandosi a Tony) Vidi Tony, in Italia, ca dicunu ca ‘i cosi nun funzionunu, ci nnèuna ca funziona, stranu ma è ccussì. Dopu ca unu ca sta’ in una casa, pavannicci, luci, acqua, gas, spazzatura, ici, iva, e tutta ‘a morti buttana dè tassi di questo Paese ecc. ecc. e nun si prisenta nessuno a rivendicare la proprietà, dopu vintanni, diceva, diventa automaticamente padrone e dominatore assoluto e incontrastato e nuddu ci po’ diri vattinni. Si fa un processo, si stabilisce chi ha il diritto o meno, chi perde e chi vince, ecc. ecc. Quindi, tu a mia non mi fai alcuna elemosina. M’haiu spiegatu? (tutti sono a bocca aperta) Io lo sapevo, volevo vedere sin dove arrivavi. Mi volevo assicurare se il tuo era un capriccio malvagio e spietato contru a quattru puvirazzi o solamente un gioco per tenerci sempre uniti e contro di te. Poi ho sentito e mi sono accorto personalmente ca ‘nfunnu funnu nun sì un uomo cattivo, hai sulu un difettu, chiddu d’aviri ‘nsaccu ‘i sordi. E iu non ti volevo dare ‘u saziu di perdiri, ma non ce l’ho fatta. Ccu tutti i sortileggi, ‘i ‘mprogghi, i paroli mammalucchini, ‘u sali di mè cummari, ‘a citu, l’agghia, i corna di mè cumpari, ‘u immu di don Luigi…sunu tutti…minchiati. Il destino è destino e ‘u preti avìa ragiuni. Gesù Cristu nun si minta a difenniri i ‘cristiani ppi ‘sti cosi. Per queste fesserie. (si avvicina a don Luigi e lo abbraccia, toccandogli la gobbetta) Nun si po’ sapiri mai.

TONY : Bene! Ti sei sfogato? Mi fa piacere che abbiamo chiarito queste cose, però visto che siamo come una famiglia, e io sono orgoglioso di avere avuto la vostra amicizia. Oggi, con l’aiuto di mio figlio Mario e con la consulenza di Carlo, ho portato dei documenti che metteranno, finalmente, le cose a posto su alcune storie di questo palazzo, l’ ex Albergo Splendor.

ALFIO : E tu nun m’hai detto ne-ne..nenti?

CARLO : Papà, ma cchi t’avia a diri? Appoi ‘u cuntavutu a mè parrinu e la sorpresa si sarebbe finita.

TONY : Io ho dei documenti che vi riconoscono la proprietà degli appartamenti dove vivete, a titolo gratuito fino alla vostra morte, dei vostri figli e dei loro figli se ne avranno. ( tutti cercano di baciargli la mano, ma Tony li allontana, una musichetta romantica accompagna la battuta) Io ho amato una sola donna nella mia vita, una donna sfortunata, e la lontananza non mi ha dato possibilità di poterla assistere, accarezzare, amare fino alla fine dei suoi giorni. Ma il suo amore mi ha donato un frutto, una bella figlia…(tutti guardano Daniela) che non ho potuto crescere personalmente e che, per la sua educazione, ho dovuto delegare altri . Questa figlia, so’ che stà crescendo con i valori più nobili della società, e io oggi sono venuto per farmi perdonare per non averle rivelato in tutti questi anni la mia responsabilità nei suoi confronti e darle il mio nome se ella lo vorrà, oltre a quello della cara madre. Ok? Daniela, io sono tuo padre, perdonami. ( Daniela lo abbraccia, poi abbraccia Mario, si abbracciano tutti e tre, piangono, come tutti i presenti o quasi)

DANIELA : (con le lacrime agli occhi) Zio…

TONY : ( la guarda con disappunto e con evidente commozione ) Se vuoi, perchè non mi chiami papà…

DANIELA : Si, …papà!

TONY : Nella valigetta ho dei documenti che potrai firmare quando vuoi, il giorno dopo ti chiamerai Daniela Cannata Lamonaca…Ok?

DANIELA : Firmo subito, papà. (poi va ad abbracciare Carlo)

TONY : Antonio, so’ che mio figlio Mario vuole bene a tua figlia Lisa e che ci renderà nonni tra non molto…E spero che voglia bene anche a Daniela come è giusto che un fratello voglia bene una sorella.

ANTONIO : ‘U nomu è in società, sì furtunatu anchi ddocu! Sempri unni chiovi ‘nto vagnatu.

MARIO : Papà, quando stamattina sono arrivato, ho saputo alcune cose, tra cui il segreto di Daniela. Ho fatto una piccola ricerca e ho dedotto, senza darti alcuna colpa, che tu saresti stato più che un semplice tutore, anzi, ho subito pensato che il tuo era un legame di padre e figlia. Solo ciò poteva spiegare tutti gli sforzi e l’attenzione per la piccola Daniela. Ciò mi ha riempito il cuore di gioia, perché ho avuto la conferma che razza di uomo sei, un galantuomo e io sono orgoglioso di essere tuo figlio e di avere una sorellina.( si riabbracciano con Daniela) Poi volevo dirti che ho assunto Lisa all’agenzia…devo creare il personale e quindi, quale migliore occasione…dovevo dirterlo, ma non ho avuto il tempo.

TONY : Hai fatto bene, ma non solo, Daniela deve imparare l’inglese e verrà con me a New York…finalmente staremo assieme per un po’

CARLO : E per quanto tempo? (allarmato)

TONY : Minimo sei mesi.

CARLO : Sei mesi? (c.s.)

DANIELA : Papà, ma Carlo non potrebbe venire anche lui con noi per imparare l’inglese?

ROSA : ‘A Merica?

TONY : ( con malizia ) Solo per imparare l’inglese? Ma deve studiare! (sorridendo) E chi mali c’è?

ALFIO : Ma nun s’u po’ ‘mpa-pa…’mparari ccà?

TONY : E no! Se deve fare l’avvocato della nostra società, deve sapere l’inglese…dove si parla. Giusto, Mario?

MARIO : Si, papà. (Daniela gli stringe la mano, contenta, Alfio e Rosa sono un po’ confusi..)

TONY : Vogliamo brindare alla salute di questi nostri figli? (entrano dalla comune Miriam e Basile)

MIRIAM : Siamo in tempo per il brindisi?

ANTONIO : Certamente, ma prima, Tony, mi putissutu fari l’ultimu piaciri…? (tutti sono attenti a quello che dirà)

TONY : Certo. Tuttu chiddu che vuoi, Antony. Ti chiamu Antony?

ANTONIO : Si, va beni, ‘u nomu nun m’interessa, ma iu fussi cchiù cuntentu ca quannu parti pp’a ‘Merica ti porti a mè mugghieri…’U sai, ppì fari ‘a sirvizzera è bona…chi dici? (risata generale)

MARA : (risentita) Pirchì nun ci vai tu e ti fai fari ‘nu bellu trapiantu! (Antonio, ferito a morte, risponde con odio mortale)

ANTONIO : (sospettosamente allusivo) E cchi cosa m’avissi ‘a trapiantari, sintemu unni vuoi ‘ntappari!

MARA : (dopo una leggera pausa) ‘A testa! Tantu chi nni fai? ‘Cc’avevutu caputu, scemunitu?

ANTONIO : Ahhh! Ora si!!! (si abbracciano, con grande risata generale e brindisi, e sulle note di una allegra musichetta.)

FINE DELLA COMMEDIA